giovedì 15 settembre 2011

Wittgenstein

Con Wittgenstein entriamo direttamente nella filosofia del ‘900 che è una filosofia che per certi versi fa della relazione con la scienza uno degli aspetti più importanti, infatti si interroga sulla relazione con il sapere scientifico che, ormai nel ‘900, come sappiamo è diventato il sapere di riferimento per eccellenza, a partire dalla sessione linguistica. Il primo Wittgenstein  (il che ci fa capire che ce ne sarà anche un secondo) è considerato il  vero e proprio precursore del neopositivismo (ovvero di quella corrente di pensiero che diventerà una corrente egemone intorno alla fine degli anni 20 e l’inizio degli anni 30) a livello filosofico (soprattutto con il circolo di vienna ma anche con altri) e che contaminerà anche altre filosofie successive anzi il “Tractatus Logico-Philosophicus” acquisterà per coloro che poi saranno i fondatori del circolo di vienna del neopositivismo novecentesco un valore fondamentale.
Wittgenstein non era solo un filosofo egli infatti nasce come ingegnere anche se poi tutta la sua opera è essenzialmente un’opera di carattere eminentemente filosofico nella quale porta anche le sue competenze dal punto di vista scientifico, matematico e logico. Quest’opera in qualche modo influenza il primo e il secondo Wittgenstein a seconda del partito che si prenderà: di totale sostegno alla scienza o di criticità nei confronti di alcune esagerazioni della fiducia della scienza. Influenzerà un pò tutte le correnti successive dalla filosofia analitica, che è essenzialmente la filosofia del linguaggio americana che ancora oggi domina il panorama filosofico d’oltre oceano, alla filosofia ermeneutica o heideggeriana che è diventata un punto di riferimento per la filosofia europea sotto certi aspetti. Tutte in qualche modo si richiamano ad alcuni aspetti della riflessione di Wittgenstein che quindi diventa un nodo centrale della riflessione del ‘900. Come abbiamo detto la sua appartenenza alla corrente neopositivista è difficile da sostenere in modo inequivocabile anche se lo è stato fatto. Senza alcun dubbio però i membri del circolo di Vienna hanno trattato il Tractatus Logico-Philosophicus  come una vera bibbia di positivismo, testo fondamentale di riferimento, il testo di riferimento per eccellenza. Invece il secondo Wittgenstein (noi analizzaremo soprattutto le Ricerche Filosofiche, in realtà non è neanch’esso un libro pubblicato da Wittgenstein ma è la raccolta di alcuni manoscritti di alcune sue riflessioni ) detterà alcuni elementi di polemica come vedremo rispetto ad alcuni risultati del neopositivismo e quindi rispetto anche a sè stesso tanto che si dice che il secondo Wittenstein in qualche modo ripudi il Tractatus. In reatà non è propriamente così, sicuramente ripudia alcuni eccessi del Tractatus anzi la conclusione per eccellenza del Tractatus. Una cosa che indiscutibilmente si può affermare è riguarda i punti di riferimento fondamentali di Wittgenstein, che sono due: il pensiero sul linguaggio di Bertrand Russell che all’inizio del ‘900 rivisita la logica, ma anche e soprattutto il pensiero del vero e proprio fondatore della logica contemporanea che si chiama Frege, perchè Frege è il primo a concepire la distinzione tra senso e significato e questo è di fondamentale importanza anche all’interno della filosofia Wittgensteina e anche del circolo di Vienna. Un’aspetto che in qualche modo ci fa capire come anche il secondo Wiittgenstein non sia poi così distante dal primo è che entrambi i due Wittgenstein partono da un assunto che rimane costante ovvero che la filosofia è teoria del linguaggio, ovvero analisi dell’attività linguistica del filosofo e dei pensatori.
La sua prima opera (del primo Wittgenstein) si diparte intorno a sette proposizioni fondamentali. Queste sette proposizioni si sviluppano ad albero che alla fine arriva ad un totale di 526 aforismi o osservazioni aforistiche. Questo tipo di struttura in qualche modo ci fa capire anche com’è concepito il Tractatus, ovvero concepito un pò come qualcosa che si dimostra in modo matematico (modo di dimostrazione geometrico) e ricorda anche “L’Etica more geometrico demonstrata” di Spinoza che è effettivamente un punto di riferimento per Wittgenstein anche per quello che riguarda il titolo, infatti Spinoza aveva scritto il Tractatus teologico-philosophicus.
Le sette proposizioni fondamentali]
1)      la prima proposizione fondamentale da cui poi discenderanno tutta una serie di proposizioni che andremo a vedere dice “il mondo è tutto ciò che accade”, questo tipo di affermazione è un’affermazione che definiremo con la categoria filosofica come un’affermazione filosofica di tipo ontologica perchè descrive ciò che è l’essere, il mondo. Infatti il Tractatus può dividersi in tre sezioni che sono:
·         la sezione ontologica che in qualche modo riguarda le prime due proposizioni e tutte le proposizioni che ne derivano,
·          la sezione logica, che in realtà deriva dagli ultimi aforismi della seconda proposizione sino più o meno a metà della sesta proposizione fondamentale
·         e poi c’è la sezione filosofica o mistica che va dalla metà della sesta alla settima.
 Quindi il mondo è tutto ciò che accade quindi in qualche modo può essere affrontato tutto ciò che effettivamente si manifesta nella realtà. Come vediamo qui c’è una presa di partito che è essenzialmente positivista, si esclude tutto ciò che non accade; tutto ciò che non avviene nel mondo, ovvero il metafisico, appartiene a un altro tipo di realtà che non è quella del mondo a cui apparteniamo.
2)      ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose”. I fatti, che sono tutto ciò che accade nel mondo, è il sussistere di stati di cose, non delle cose ma di stati di cose. Uno stato di cose, date dal presupposto che non esista una cosa che possa essere isolata perchè il mondo è una trama in cui ogni cosa, è gia relazionata all’interno di quel pezzo della cornice con qualche altra cosa. Lo stato di cose presuppone la reazione di alcuni oggetti, è un fatto, un evento che accade che presuppone la relazione di alcuni oggetti tra di loro.
3)      l’immagine logica dei fatti è il pensiero  ovvero noi  incontramo la realtà e di questa realtà ci costruiamo delle immagini. Questa immagine con la quale rappresetiamo la realtà è il pensiero. Il linguaggio con cui traduciamo quindi il pensiero è una rappresentazione logico formale del reale. Il linguaggio non può che coincidere con il pensiero perchè il pensiero col quale noi pensiamo e ci descriviamo la realtà può rappressentarsi con le immagini della realtà perchè si trova in questa situazione, ha la stessa forma della realtà. Questo è qualcosa che già Platone aveva detto e che per certi versi verrà ripresa anche da Aristotele: ovvero la struttura del nostro pensiero coincide con la struttura della realtà perchè hanno la stessa forma logica.
4)      il pensiero è la proposizione fornita di senso”. Può essere definita autenticamente pensiero ciò che è una proposizione munita di senso, ovvero una proposizione sensata, ma quale proposizione può essere sensata? Può essere sensata quella proposizione che esprime la possibilità di un fatto, non un fatto che c’è, perchè la realtà non è solamente fatti che obiettivamente ci sono, è anche i fatti che potrebbero esserci. Una proposizione è munita di senso quando descive un evento, un fatto che potrebbe accadere nel mondo perchè ha le strutture ontologiche che lo rendono un fatto possibile; ad esempio la proposizione questa biblioteca con tutti noi dentro adesso è un fatto, cioè esprime uno stato di cose che c’è, e questo logicamente può essere pensato, può essere espresso attraverso un pensiero che descrive questo stato di cose. È chiaro che però io posso esprimere anche in modo sensato un pensiero nel quale ad esempio gli ultimi sei alunni di questo tavolo non ci sono nella realtà perchè è sensato, capisco cosa vuol dire, vuol dire che in un aula in cui ci sono tutti questi libri ci sono determinate persone, con l’unica differenza che non ci sono sei persone che nel primo fatto effettivamente c’erano. Qual’è la differenza tra l’una e l’altra proposizione o pensiero? Che la prima proposizione è vera e la seconda è falsa, potrebbe essere vera perchè corrisponde a qualcosa che potrebbe avvenire nella realtà ma non lo è perchè non descrive ciò che è presente nella realtà. La differenza tra sensata e insensata non sta tra vero e falso perchè la seconda proposizione pur essendo sensata è falsa. La proposizione “questo evidenziatore vola all’interno dell’aula mantenendosi in volo” non è sensata perchè descrive un fatto che non può avvenire nella realtà, è metafisica, ovvero attribuisce determinate proprietà al pennarello il quale non le possiede. Le insensate non possono neanche essere false o vere perchè esprimono qualcosa che non si può verificare nella reltà. Detto così questo sembra relativamente importante, ma se io dico “la radice che sta all’essenza dell’essere è il linguaggio” (che è la proposizione di Heidegger) la cosa si fà più complessa, non è dimostrabile.
5)      la proposizione è una funzione di verità delle proposizioni elementari  qui si entra nella dimensione logica di Wittgenstein. Le funzioni di verità sono quelle che in qualche modo regolano la relazione delle proposizioni con determinati connettivi logici (e, non, o...). Ma cosa vuol dire che la proposizione è una funzione di verità delle proposizioni elementari?  Che la proposizione in quanto tale è composta da tutta una serie di proposizioni elementari , ad esempio riprendendo la frase di prima “il pennarello che tengo in mano è rosa” è complessa perchè composta da due proposizioni, “ho in mano un pennarello” e il “pennarello è rosa”. Una proposizione è vera quando sono vere entrambe le proposizioni elementari  che la formano, quindi è una funzione di verità che dipende dalla verità delle proposizioni elementari. Affinchè una proposizione sia vera devono essere vere tutte le proposizioni elementari che la compongono. Ad esempio la frase “tutti gli alunni della 5s sono attenti e prendono appunti con la penna” per essere vera devono essere vere tutte le proposizioni elementari, e quindi che tutti gli alunni siano della 5s, che siano tutti attenti e che prendano tutti appunti con la penna. La proposizione sembra comunque vera perchè è qualcosa che comprendiamo, che sembra corrispondere alla realtà, come qualcosa che non rappresenta una descrizione adeguata dell’evento e del fatto. Questo fa capire che questa questione del linguaggio è molto più complessa di quello che si potrebbe pensare. Questa questione, ovvero che tutto dipenda dalla verità e dalla falsità delle proposizioni elementari  ha portato a ritenere che Wittgenstein sia un sostenitore, come Russell, del cosiddetto atomismo logico (cosa che è vera almeno nel Tractatus), intendendo per atomismo logico che tutto può essere distinto in parti semplici, ad esempio i nomi che compaiono all’interno di una proposizione elementare  che corrispondono alle cose, e che tutta questa semplicità ci permetta di arrivare a una conoscenza adeguata della realtà quando ci obblighiamo ad utilizzare il linguaggio secondo queste caratteristiche.
6)      la forma generale della funzione di verità è [ . Questa è la forma generale della proposizione” questa è un pò complessa, vuol dire che un enunciato può esprimere sia una verità che una falsità ma ciò è possibile quando unicamente una proposizione appartenga a questo cosmo, a questo insieme che contempla tutte le proposizioni dotate di senso. Ma in realtà tutte le proposizioni non sono solamente proposizioni che possono essere vere o false, perchè non tutte le proposizioni descrivono la realtà, perchè esistono le cosiddette proposizioni della logica ovvero le proposizioni che Mill avrebbe definito verbali che, secondo Mill, si riducono a due tipi di proposizioni, ovvero le tautologie che sono sempre vere ad esempio “piove o non piove” che chiaramente è sempre vera. Nessun fatto può smentirla perchè esprime qualcosa di tautologico, oppure c’è l’altra faccia della medaglia: le contraddizioni che sono sempre false perchè non possono essere che contradditorie ad esempio “la mia donna è una marmotta”.  
7)      questo punto è facilmente comprensibile ovvero “su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”, ovvero tutte le proposizioni che rifuggono da questo schema perfetto, che è lo schema delle proposizioni apofantiche ovvero dichiarative sulla realtà, sono proposizioni che non possono essere espresse in modo sensato, sono il metafisico o il mistico come lo chiama Wittgenstein e da queste in qualche modo ci si deve liberare e quindi su queste non si può parlare.
Innanzitutto, come abbiamo detto, la totalità degli stati di cose per Wittgenstein è il mondo, la totalità delle proposizioni è il linguaggio questo è molto importante perchè ci indica un elemento caratteristico del pensiero di Wittgenstein ovvero la congruenza che esiste per lui tra mondo e linguaggio che è di fondamentale importanza perchè laddove non ci fosse il nostro linguaggio non avrebbe potere, come invece noi riteniamo abbia, di descrivere in modo adeguato il nostro mondo perché, naturalmente non si vede perchè dovremmo accettare per buona la descrizione linguistica di una determinata realtà laddove il linguaggio non fosse congruente, uguale e sovrapponibile per certi versi alla realtà. Questo è molto importante perchè le proposizioni  per Wittgenstein sono anch’esse dei fatti , quindi anche proposizioni linguistiche sono fatti della realtà, sono eventi  che hanno una peculiarità rispetto agli altri fatti: che mentre gli altri fatti sono muti, ovvero la sedia è muta, la proposizione significa, ovvero dice qualcosa, significa che un fatto quando io dico “la sedia è in biblioteca” questa proposizione che è a sua volta un fatto, è un fatto particolare perchè è un fatto che descrive un altro fatto ovvero il fatto della sedia qui dentro.

Lettura “sezione ontologica”
È la parte del trattato in cui Wittgenstein si occupa di descrivere che cos’è l’essere, che cos’è la realtà, che cos’è il mondo.
1) “il mondo è tutto ciò che accade”, il mondo è rappresentato da ciò che accade nel mondo.
1.1) “il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose”, qui già si dice qualcosa di più, vuol dire che il mondo non è composto da cose ma è composto da cose in relazione con altre cose. Non si dà mai la cosa, certo esiste la cosa, ma una cosa è sempre in relazione con qualcos’altro e questo crea un fatto. Il fatto è rappresentato dalle relazioni che intercorrono tra più oggetti. Così come non esiste il linguaggio se ci sono solo i nomi  perchè i nomi non sono proposizioni, non dicono niente (come aveva detto Aristotele) se dico mela, non sò se è vero o falso, se dico invece “mela rossa” già questo si che è qualcosa che c’è nel mondo, non esiste una mela, esiste una mela che è rossa o gialla, che è marcia o matura, che è buona o fa schifo, che è grossa o piccola, che c’è o non c’è per certi versi. Quindi così come i nomi esistono ma non esiste l’oggetto in sè, e c’è senpre un oggetto che ha delle proprietà anche i nomi esistono e che corrispondono agli oggetti , all’atomo, alla cosa più semplice ma acquistano senso di per sé quando diventano proposizioni.
2) “ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose”, il fatto è il sussistere di stati di cose, ovvero di cose che sono in un determinato stato e quindi sono in relazione tra di loro.
2.01) “lo stato di cose è un nesso d’oggetti (enti, cose)”.
2.02) “l’oggetto è semplice “, quindi esiste il semplice ma in realtà il mondo esprime solo il complesso potremmo dire. L’oggetto è semplice ma il mondo, lo stato di cose di fatto è il complesso.
2.03) “nello stato di cose gli oggetti ineriscono l’uno nell’altro, come le maglie di una catena”, ovvero lo stato di cose, l’evento, il fatto è quello in cui li oggetti sono in relazione tra di loro attraverso una legge, una forma che li lega.
2.04) “la totalità degli stati di cose sussistenti è il mondo” ed ecco che qui ricomincia ad esserci l’oggetto, lo stato di cose e il mondo che è l’insieme degli stati di cose, che in un certo senso è la connessione degli oggetti e dall’altra parte c’è il nome che esprime l’oggetto, la proposizione che esprime lo stato di cose e il linguaggio che esprime il mondo ovvero la totalità degli stati di cose.
2.05) “la totalità degli stati di cose sussistenti determina anche quali stati di cose non sussistono”, in realtà il mondo è la totalità delle cose sussistenti ma non esistono solo gli stati di cose sussistenti  esistono anche gli stati di cose che non sussistono. Così come sussiste lo stato di cose, ovvero la descrizione perfetta di quest’aula ad esempio però comporta anche di conseguenza l’eliminazione anche di stati di cose che non sussistono, implica anche gli stati di cose che non sussistono, una combinazione diversa, diciamo così, in questo momento dell’aula.
2.06) “il sussistere e il non sussistere di stati di cose è la realtà”, quindi la realtà non è solamente ciò che è in atto ma anche ciò che è possibile, ovvero ciò che in qualche modo ha in sè le caratteristiche di essere possibile, quello che non è possibile no. (il sussistere di stati di cose lo chiamiamo anche un fatto positivo; il non sussistere, un fatto negativo), positivo nel senso che c’è, non positivo in senso di valoriale, è positivo nel senso dei positivisti; negativo perchè non c’è.
2.10) “noi ci facciamo immagini dei fatti”, i fatti che noi produciamo in realtà gli traduciamo in immagini, noi produciamo immagini, immagini mentali di fatto.
2.12) “l’immagine è un modello della realtà”, l’immagine è un modello della realtà esattamente come un plastico che vuole rappresentare un edificio è il modello dell’edificio, l’immagine è la stessa cosa, noi ci costruiamo per comprendere delle rappresentazioni.
2.17) “ciò che l’immagine deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare –correttamente o falsamente- nel proprio modo è la forma di raffigurazione propria dell’immagine”, il modello e lo stato di cose hanno in comune la stessa forma di raffigurazione.
2.18) “ciò che ogni immagine, di qualunque forma essa sia, deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare-correttamente o falsamente- è la forma logica, cioè la forma della realtà”, ed è proprio questo, il fatto di avere questa forma di raffigurazione, che in qualche modo è la stessa forma logica che permette al linguaggio o alle immagini o ai segni di descrivere la realtà (perché io dovrei pretendere quando mi trovo in tribunale e devo descrivere un incidente  di prestare fede appunto magari al plastico, ai modellini  che sono messi li, in realtà non ha nulla dello stato di cose perché ritengo che quel modellino corrisponda alla realtà, allo stato di cose che hanno la stessa forma logica ovvero gli elementi sono strutturati insieme allo stesso modo. Cos’è che ha uguale il linguaggio alla realtà? La stessa forma logica.
2.2) “L’immagine ha in comune con il raffigurato la forma logica della raffigurazione”.
2.21) “L’immagine concorda con la realtà o no; essa è corretta o scorretta, vera o falsa”, così come io posso ad esempio mettere una macchina perché mi conviene nella costruzione del modellino dell’incidente, o mettere qualcos’altro così io mi posso creare delle immagini della realtà che non corrispondono esattamente alla realtà. Qui si situa per Wittgenstein questa distinzione tra vero e falso. Tutte le immagini che descrivono la realtà sono sensate perché posso comprendere cosa vogliono dire perché esprimono la realtà attraverso questa comunanza di forma logica, ma di queste immagini sensate,  solo un’immagine è vera ovvero quella che corrisponde a quello che effettivamente c’è nella realtà.
Quindi l’immagine ha la stessa forma logica della realtà se è un’immagine descrittiva della realtà, perché altrimenti non potrebbe descriverla, però bisogna vedere sa ha la stessa forma logica di una realtà reale o di una realtà possibile, nel primo caso sono vere, mentre le seconde sono false.

Il mondo non è fatto solo di cose ma è fatto anche di eventi che hanno un significato logico, ad esempio la preposizione “questo foglio è bianco” è un evento ed ha un significato logico. È chiaro che le immagini trovano poi la loro corretta simbolizzazione, ovvero la simbolizzazione più adeguata (sarebbe difficile, tutte le volte che parliamo costruire dei modellini) nella forma simbolica per eccellenza, quella nella quale è più facile studiare le leggi logiche che la governano che è il linguaggio. Tutte le immagini portano con sé un contenuto segnico, ovvero si esprimono in segni. Questo ci permette di stabilire il rapporto tra i fatti del mondo e del linguaggio. Potremmo dire che il linguaggio, nella concezione di Wittgenstein, è la raffigurazione logica del mondo. Però non possiamo fare tutto con il linguaggio, esiste una limitazione nel fatto che si può esprimere un fatto realmente accaduto o che potrebbe realmente accadere nel mondo, questo è il limite del linguaggio, tutto ciò che eccede ciò fa si che il linguaggio perda questa proprietà di essere raffigurazione logica del mondo e quindi questa proprietà di descrivere in modo adeguato la realtà, di avere un senso. Che il linguaggio sia essenzialmente qualcosa che riguarda il muoversi sui propri limiti è già stata esposta da Wittgenstein nella sua prefazione.

Lettura “Prefazione dell’autore”
In questa prefazione ci fa capire come per Wittgenstein la filosofia sia essenzialmente filosofia del linguaggio e i problemi filosofici siano essenzialmente problemi linguistici, ovvero determinati da un uso scorretto del linguaggio. Risolvere questi problemi non può che voler dire affrontare la questione relativa ai limiti del linguaggio, a che cosa si può dire e a che cosa non si può dire (“quanto può dirsi si può dir chiaro e su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”). Noi possiamo porre un limite unicamente al linguaggio perché noi in realtà possiamo effettivamente pensare a qualsiasi cosa, ma non tutto quello che pensiamo possiamo esprimerlo o quanto meno esprimerlo pensando di dire cose sensate, ad esempio io posso pensare che “la sostanza è la massima manifestazione dell’essere” e posso anche dirlo consapevolmente che è un’affermazione insensata perché non dice nulla della realtà, non posso verificarla nella realtà, quindi la posso pensare ma non la posso esprimere con la presunzione che sia sensata. Infatti ha senso quello che compare nella realtà ed il linguaggio è sensato nella misura in cui esprime un fatto o un evento.
Il mondo è la totalità dei fatti atomici e ognuno di questi fatti atomici è assolutamente indipendente rispetto ad un altro.
La corrispondenza della struttura tra piano logico e piano ontologico è fondamentale per Wittgenstein perché in qualche modo è la garanzia della possibilità di descrizione della realtà. Quindi potremmo dire che la proposizione:
a)      ha senso quando riproduce la possibilità di un fatto,
b)      è vera se riproduce quella combinazione propria che appartiene al fatto, ovvero se in qualche modo tutte le proposizioni elementari che la formano sono vere.
Ecco quindi che di un possibile fatto si possono dare infinite proposizioni ma un solo una è vera. Quindi la proposizione è l’espressione simbolica di un fatto, di uno stato di cose costituita da nomi e i nomi sono gli elementi semplici perché i nomi corrispondono agli oggetti che sono dentro uno stato di cose. Quindi perfetto parallelismo, nomi-oggetti, proposizioni-stato di cose, linguaggio-realtà. Le proposizioni complesse sono proposizioni formate da una pluralità di proposizioni  elementari, e la proposizione elementare è vera se sussiste lo stato di cose.
Si vede quindi quant’è complesso, ecco perché i problemi di natura linguistica sono i più difficili da risolvere, perché il linguaggio è molto complesso.
Questa teoria viene definita teoria dell’atomismo logico ovvero esistono sostanze semplici nella realtà e queste sostanze semplici corrispondono a sostanze semplici del linguaggio che sono i nomi e le proposizione elementare perché in realtà come sappiamo esiste solo lo stato di cose.
Il mondo è completamente descritto, dice Wittgenstein , da tutte le proposizioni elementari più l’indicazione di quelle che sono vere e quelle che sono false. Questo è molto importante perché questo segna la demarcazione netta, che è quella che Wittgenstein vuole affermare tra ciò di cui si può parlare in modo sensato e quello che Wittgenstein chiama l’ineffabile, che letteralmente vuol dire che non si può dire.

In realtà Wittgenstein concepisce un’altra distinzione anche tra le proposizioni che in qualche modo si possono dire ovvero tra le proposizioni che sono autenticamente della scienza e le proposizioni logiche che non appartengono alla scienza, ma rappresentano per così dire la struttura categoriale delle proposizioni scientifiche; perché le proposizioni della logica non descrivono i fatti perché sono analitiche, sono meramente verbali avrebbe detto Mill. Le proposizioni della logica o sono sempre vere (tautologie e in qualche modo corrispondono al principio di identità che guida la logica) o sono sempre false, in contraddizione, esse non dicono nulla del mondo ma valgono per tutti i possibili stati di cose; sono, dice Wittgenstein, l’armatura del mondo (esempio “piove o non piove” o “la mia donna è una marmotta”).
Wittgenstein dice che è vietato usare gli enunciati linguistici che sono privi di senso, ovvero che non descrivono la realtà, che non sono immagini di alcun fatto che non possono essere verificati o falsificati. Queste proposizioni sono chiaramente quelle della metafisica, dell’etica e dell’estetica (ad esempio “è bene guidare con la cintura” non descrive un fatto, non posso verificare la verità o la falsità, esprime un valore, ma un valore è qualcosa che eccede da ciò che accade nel mondo; e quindi anche le proposizioni etiche da questo punto di vista rientrano nell’ineffabile ovvero in ciò che non si può descrivere, non si può dire, come per l’estetico perché in questo caso diamo un giudizio di valore che trascende la descrizione della realtà). La filosofia quindi si riduce ad analisi critica del linguaggio e deve disincagliare il pensiero, cioè stabilire quali proposizioni appartengono a questo mondo e quali invece appartengono alle proposizioni sensate, apofantiche, descrittive. L’ineffabile è il mistico, ciò che deve essere taciuto, ecco perché di quello che non si può parlare si deve tacere.

Lettura “La sezione logica”
Nella sezione logica si ribadisce che il linguaggio attraverso la preposizione apofantica della realtà noi diamo un senso alla realtà, perché in realtà io posso costruire proposizioni che possono descrivere non solamente come la realtà è, ma anche come la realtà potrebbe essere, per questo è possibile dare qualsiasi senso della realtà. Tuttavia si ribadisce anche questo parallelismo infatti Wittgenstein dice “la proposizione è un'immagine della realtà”, infatti la proposizione linguistica traduce quell'immagine di tipo mentale che noi ci facciamo della realtà, la proposizione è un modello della realtà quale noi la pensiamo (la proposizione linguistica traduce come un modellino quello che noi pensiamo della realtà). Solo che nuovamente si ribadisce che laddove si consideri la proposizione come enunciato dotato di senso (e quindi apofantico) rappresenta il sussistere ed il non sussistere degli stati di cose; ecco che quindi a questo punto comprendiamo il significato di scienza che da Wittgenstein, ovvero la scienza e la totalità delle proposizioni sensate e vere (ovvero descrivono la realtà esattamente come la realtà è). Quindi può essere definito scientifico ciò che descrive come la realtà è, mentre può essere definito sensato ciò che descrive come la realtà è e come potrebbe essere; tutto quello che eccede da questa dimensione è il mistico o quello che riguarda cose delle quali neanche possiamo verificare se siano vere o false e quindi sono insensate.

Nella sezione filosofica questo emerge chiaramente, noi possiamo parlare dei fatti del mondo e non del mondo perché il senso del mondo e che cosa sia è fuori di esso, ovvero non coincide con i fatti, quindi si trova al di fuori della nostra possibilità di descriverlo in modo scientifico razionale. Quindi il valore del mondo (o il senso del mondo) non si può esprimere perché non è qualcosa che rappresenta un fatto ma è qualcosa che rappresenta una giudizio; ecco perché non si può parlare dell'etica come scienza dei valori e neanche della religione perché non descrivono qualcosa che è presente nella realtà, ma anche dell'estetica non si può parlare perché il bello e il brutto non appartengono alle categorie del vero o del falso. Quindi di tutte queste cose in modo sensato non si può parlare, perché parlare in modo sensato significa parlare in modo dichiarativo (dicendo qualcosa sulla realtà); ora poi che queste cose non dicono nulla sulla realtà ma dicono qualcosa che è del soggetto sono cose di cui non si può parlare, quindi è ineffabile, che letteralmente significa ciò di cui non si può parlare, che corrisponde al mistico, che invece significa ciò di cui bisogna tacere e il mistico coincide con tutte queste cose di cui non si può parlare.

Nel frammento 6.54 nel quale dice che dopo aver stabilito questi criteri che c'hanno permesso di stabilire che cos'è l'insensato, ovvero il mistico, devo prendere la scala (che corrisponde al linguaggio) e buttarla via perché del mistico non si può parlare.

Questo però crea dei problemi perché quelle cose che devono essere cancellate sono anche quelle cose di cui si parla di più, comunque Wittgenstein rimane fedele a ciò che ha scritto e quindi smette di fare filosofia. A questo punto fa altre cose ma proprio facendo queste altre cose si accorge che in realtà purtroppo esiste un problema sulla settima proposizione del trattato, perché, come abbiamo detto prima, quello di cui si deve tacere è anche quello di cui si parla di più. Allora capisce che forse il progetto del trattato di costruire una lingua pura (che poi coincide con la lingua matematica e della logica formale in cui vengono eliminate tutte le ambiguità) è qualcosa di irrealizzabile perché noi siamo caratterizzati dall'impurità, ovvero dal fatto che non siamo solo logica ma siamo anche altre cose, si passa quindi al secondo Wittgenstein.


Il secondo Wittgenstein
Mentre il primo Wittgenstein corrispondeva al trattato, che è l'unica opera che viene pubblicata, il secondo ha a che fare con tutta una serie di scritti che lui produce di cui il più importante sono le cosiddette “Ricerche filosofiche”. La prima cosa che entra in crisi nella sua teorizzazione del trattato è il cosiddetto atomismo logico, ovvero quello che faceva corrispondere il nome all'oggetto come elemento semplice; ma Wittgenstein inizia ad interrogarsi sul concetto di oggetto e già questo inizia crearli dei problemi di comprensibilità. Innanzitutto l'oggetto è propriamente l'atomo fisico esterno o l'esperienza percettiva del soggetto che coglie l'atomo fisico? Per esempio il colore rosso consiste nella qualità o consiste nella percezione del soggetto?
Ma anche un'altra cosa mette in difficoltà Wittgenstein, ovvero ci si accorge che il nome non fa più gioco con l'oggetto, perché non si capisce più quale sia l'oggetto semplice che deve essere espresso nella preposizione elementare, se si ha la sedia oppure la gamba della sedia (che è più semplice), ma chiaramente gli atomi di cui è composta la sedia sono ancora più semplici. Quindi non si capisce più cosa sia l'oggetto semplice.

Iniziano a vacillare quelle che erano le idee forti del trattato, ovvero la volontà di costruire una linguaggio puro e apofantico. Le ricerche filosofiche si inaugurano con il primo aforisma nel quale Wittgenstein riporta il modo in cui Sant'Agostino nelle “Confessioni” spiegava come era stata insegnata la lingua, ovvero osservando le cose e dandogli un nome (gli facevano vedere un mattone e gli dicevano che si chiamava mattone), quindi sembrerebbe corrispondere a quella descrizione che aveva dato dell'uso della lingua Wittgenstein, ma in realtà anche questa forma primitiva del linguaggio non è propriamente un insegnamento di tipo ostensivo perché non riguarda l'elemento della spiegazione e per questo è definito addestramento. Quindi il linguaggio non è qualcosa di descrittivo ma è solo qualcosa di comunicativo, è essenzialmente una prassi, proprio su questo si modificherà il paradigma del secondo Wittgenstein.
Quindi la sua nuova teoria chiave diventa il concetto del linguaggio come legato al suo uso.

Come abbiamo detto prima di questo Wittgenstein fa diverse esperienze, tra le quali l'esperienza di maestro elementare, che è una delle pagine più tristi della sua vita tanto da meditare il suicidio, così dopo va a curare il giardino di un convento e poi va a fare l'architetto per sua sorella. Ecco che quindi si ritrovano nella sua vita il religioso e il bello, cose di cui neanche si potrebbe parlare e che cominciano a caratterizzare la sua vita. È vero anche che l'esperienza con i bambini lo porta ad intravedere la prima fondamentale distinzione di importanza rilevantissima all'interno della professione di insegnante che c'è nel linguaggio, ovvero quella tra comandi ed asserzione, per esempio “ la finestra è chiusa” e “chiudi la finestra”, queste due frasi sembrerebbero composte dagli stessi elementi tuttavia la prima è una asserzione (una preposizione apofantica), la seconda invece è un comando. Se la finestra aperta chiaramente la prima preposizione è falsa mentre la seconda non è vera o falsa, però sono comunque le posizioni fondamentali affinché la scuola vada davanti; da ciò si comprende che anche preposizioni che non sono apofantiche sono di fondamentale importanza. Questo lo porta ad abbandonare le convinzioni del trattato, ovvero che esista un linguaggio universale ed immobile, anzi inizia ad affermare che immaginare un linguaggio significa immaginare una forma di vita, perché ogni linguaggio corrispondono a una forma di vita perché la lingua inizia ad essere legata all'uso e alla prassi e quindi ai contesti nei quali l'uomo si trova a vivere. Però esistono molte forme di vita, le quali caratterizzano gli usi plurali del linguaggio, quindi esistono molti tipi di preposizione che entro determinati contesti funzionano perfettamente; bisogna quindi capire quanti sono questi tipi di preposizioni.
Lettura “Ma quanti tipi di preposizioni ci sono”
Wittgenstein si accorge che esiste pluralità di prassi linguistiche e queste prassi gli chiama giochi, ognuno dei quali non solamente a una sua dignità ma anche una sua importanza, perché ognuna di esse almeno una volta lo abbiamo utilizzato. Ciò che determina il gioco linguistico è la cornice, ovvero la forma di vita che io sto vivendo in quel momento, per esempio se sto cercando di far addormentare un bambino gli racconto una storia e in questa cornice questo gioco linguistico ha senso (in questo contesto il castello incantato ha un senso).
Quindi il linguaggio è prassi, la prassi è sempre legata a una determinata forma di vita, ad ogni forma di vita corrisponde un gioco linguistico differente, ma com'è che riteniamo che tutti questi giochi linguistici appartengono tutti alla grande famiglia del linguaggio? Cosa li rende simili? Wittgenstein ci dice che li rende simili una somiglianza di famiglia.

Come abbiamo detto il linguaggio non solo denota ma sopratutto comunica; comunicare in modo adeguato è possibile non solo dove si conosce il significato delle parole ma anche laddove si conosce il gioco linguistico a cui si fa riferimento, perché il significato delle parole cambia a seconda del gioco entro il quale le inserisco. Solo che affinché sia possibile ciò bisogna presupporre una originaria capacità di giocare, ovvero i giochi linguistici sono diversi ma sarebbe impossibile farvi riferimento se non esistesse qualcosa di comune a tutti gli uomini, che in questo caso corrisponde a una comune struttura formale che ci rende tutti i soggetti a giocare con il linguaggio. Ciò che li rende tutti simili sono, come detto prima, delle somiglianze di famiglia, infatti non esiste una cosa che identica per tutti ma esiste una trama di legami che lega questi giochi linguistici tra di loro senza necessariamente che tutti siano collegati da un'unica cosa (una rete di somiglianze).
Queste somiglianze le chiama di famiglia perché non esistono in una famiglia con due soggetti identici, eppure spesso si trovano delle somiglianze una ha gli occhi del padre, l'altro per le orecchie della madre, eccetera. Proprio per questo si chiamano somiglianze di famiglia, una famiglia formata dai vari giochi che formano il linguaggio.

Ma ciò che caratterizza un gioco sono anche le regole, perché ogni gioco è determinato dalle sue regole, che determinano il modo di muoversi e termini (dal punto di vista linguistico), che sono anche la seconda cosa che caratterizza ogni gioco, infatti se io ho una scacchiera e le pedine degli scacchi posso anche non giocare al gioco degli scacchi ma giocare dama, oppure posso decidere che il cavallo non si muove ad elle ma in un altro modo, quindi non avrò più il gioco degli scacchi ma un altro gioco, questo vale anche per i giochi linguistici.
Quello che con nel linguaggio è il gioco ovvero la prassi e l’uso del linguaggio, ma i diversi significati che una parola può assumere concorrono a determinare tutti gli usi di giochi possibili di una stessa parola, che naturalmente, pur modificandosi magari io vorrei che continuasse a rappresentare lo stesso termine, Wittgenstein fa l’esempio di Mosè. Il significato del termine Mosè è composto da una pluralità di elementi (il condottiero degli ebrei, colui che le ha condotti fuori dall’Egitto, colui che ha ricevuto le tavole della legge, eccetera), ma se io scoprissi che in realtà Mosè non ha condotto gli ebrei in Israele ma in un altro posto, questa persona si chiamerebbe comunque Mosè? Forse lo chiameremo ancora Mosè, ma quante caratteristiche in termini deve perdere di ciò che ne rappresenta il suo significato affinché io rinunci a quel determinato significato?
Quello che Wittgenstein in realtà ci vuole dire è che il significato delle parole è anche qualcosa che avviene attraverso un'agglomerazione di caratteristiche, magari queste caratteristiche cambiano a seconda del gioco linguistico, infatti io potrei continuare a identificare Mosè anche se non è colui che ha condotto gli ebrei, però quando lo uso all'interno del gioco linguistico “ il conduttore degli ebrei” non funziona più ma quando lo giudico all'interno del gioco linguistico “colui che è stato trovato dalla figlia del Faraone” funziona ancora.

Quindi i significati delle parole non sono immobili ma sono mobili , questo cambia completamente la teoria del significato o della raffigurazione che era la dottrina del trattato (perché si basava sul fatto che ogni termine avesse un unico significato). Questa mobilità contraddice uno dei presupposti fondamentali del linguaggio puro e della logica, quindi sembra venir meno quello che la logica è sempre stata (ovvero scienza che presiede un uso adeguato della lingua). In realtà dal punto di vista della logica se una delle variabili della funzione Mosè non è più vera la proposizione falsa, ma nell'uso che noi facciamo della lingua ciò non accade.

Ma quale è lo statuto che tradizionalmente che caratterizza le leggi della logica? Ramsey aveva definito la logica come una scienza normativa, ovvero una scienza che dà delle regole, quelle che presiedono ad un utilizzo adeguato della lingua. Il Wittgenstein delle ricerche filosofiche non rinuncia a questa concezione, ovvero la logica intesa come quell'insieme di norme che presiede ad un utilizzo adeguato della lingua e anche del pensiero, ma stabilisce che però le regole non sono universali ma la logica è scienza normativa nella misura in cui stabilisce le regole che sono valide all'interno di ogni gioco, ovvero che presiedono alla prassi e all'uso del linguaggio all'interno di diversi giochi linguistici.
Bisogna invece rifiutarla quando vuole esprimere una linguaggio ideale è assolutamente puro, che funzioni da paradigma generale, perché la purezza è auspicabile ma è impraticabile per l'uomo. Quando cerchiamo di mettere a posto il linguaggio eliminando quegli elementi che sono impuri ci troviamo di fronte ad un'operazione frustrante, dice Wittgenstein, (è come se uno cercasse di aggiustare i fili di una ragnatela con le mani), perché la logica pura assomiglia ad un terreno assolutamente liscio e quindi per certi versi auspicabile dove non ci sono imperfezioni ma che allo stesso tempo è un terreno ghiacciato, che ci impedisce di muoverci perché manca l'attrito, che corrisponde alla differenza prassica di utilizzo del nostro linguaggio. Quindi torniamo sul terreno scabro lasciando la volontà di cercare un linguaggio puro perché l'ambito umano è sempre caratterizzato dall'impurità e da sentieri del linguaggio che si incrocia e che passano dall'uno all'altro.

Qui nell'ambito della vita si misurano tutti giochi e tutti i giochi hanno in comune la caratteristica di essere giochi di potere, quindi si tratta di passare dall'ideale della lingua pura a sottolineare gli aspetti del linguaggio che sono legati alla vita quotidiana, dal punto di vista del linguaggio ciò significa che le proposizioni sensate che utilizziamo nella vita quotidiana non sono quelle apofantiche, quindi la proposizione non coincide più con le funzioni di verità delle proprie proposizioni elementari (ovvero non corrisponde unicamente alla opposizione vero o falso), ma sono anche importante altre opposizioni, come per esempio il bello e il brutto, che riguardano le considerazioni estetiche, il buono e il cattivo, che ha a che fare con esclamazioni di valore morale, ma anche disobbediente e obbediente, che corrisponda quella che ha che fare con i comandi.
Quindi il linguaggio diventa una pratica che potremmo definire come un gioco di organizzazione dei significati in vista dell'utilizzo sensato all'interno dei diversi ambiti, che è qualcosa di più vasto di quell'ambito meramente apofantico a cui era stato costretto il linguaggio all'interno del trattato. Ma non solamente qualcosa che riguarda il significato ma anche la sintassi, ovvero le regole che presiedono all'utilizzo dei termini che cambiano a seconda dei contesti, perché ogni gioco linguistico a una sintassi propria che esprime una particolare forma di vita.
Questo però crea dei problemi perché sembra che noi siamo frantumati in una pluralità di personalità all'interno della quale dobbiamo usare giochi linguistici differenti, questo sembrerebbe riconduce a quella esplosione delle personalità di Hume (l’io come unione di tutte le percezioni che abbiamo), Wittgenstein non crede però che esistono tanti io, ma di sicuro ritiene che in ognuna di queste io-funzione (ognuna funzione del io) l’io struttura la sua comunicazione in modo differente rispetto tutti gli altri ambiti (ogni io-funzione a una sua forma di comunicazione), perché si giocano giochi linguistici differenti.
A questo punto Wittgenstein nel 12º capitolo delle ricerche filosofiche fa riferimento a una psicologia abbastanza affermata al tempo, ovvero la psicologia della forma, perché la psicologia della forma sembrava confermare come noi percepiamo in un modo diverso una cosa a seconda della cornice (del gioco) in cui la inseriamo (disegno che era nello stesso tempo una lepre e un’anatra), quindi non sono gli elementi a dare la forma ma è la forma che mi fa comprendere e tradurre gli elementi, ovvero se io vedo inizialmente per esempio il becco di un'anatra gli altri riferimenti diventeranno il suo corpo, il contrario se vedo la lepre. Quindi non è la percezione dei dettagli che permette l'identificazione dell'immagine, ma è vero piuttosto il contrario ovvero che è l'identificazione dell'immagine che permette la percezione dei dettagli in modo differente, quindi è l'appartenenza al gioco che determina il significato dei termini e non sono i termini che mi fanno comprendere il gioco.
Per uno che voleva costruire un linguaggio formale che assomigliasse alla logica e alla matematica, arriva persino a parlare di valore estetico della parola giusta, ciò che decide il valore estetico di una parola è il fatto che quella parola è adatta all'interno di quel determinato campo (che è il gioco linguistico). A questo punto sembrerebbe che siamo arrivati alla rivoluzione totale di quello che aveva detto prima, perché a questo punto sembrerebbe tutto giustificato è legittimo all'interno di determinati ambiti, quindi sembrerebbe che non esista più il metafisico, ma in realtà per metafisico (inteso come uso scorretto della lingua) adesso si intende un'altra cosa. Nel trattato di ciò che metafisico è insensato (ovvero quello che non presenta una empirica correlazione con la realtà, che non descrive la realtà e che le rende possibile la distinzione fra vero e falso), nelle ricerche filosofiche metafisico diventa qualcosa di diverso, infatti il metafisico significa utilizzare un termine sbagliato all'interno di un gioco linguistico pensando che funzioni, perché il gioco linguistico determina il valore della parola e l'utilizzo che se ne deve fare (come usare il sette di quadri con lo stesso valore nel bridge e nella scopa, ma anche la celebre frase di Aristotele “ La sostanza è la massima manifestazione dell'essere”, nel trattato questa sarebbe stata una proposizione metafisica mentre nelle ricerche filosofiche a senso all'interno del gioco linguistico per esempio nelle favole, ma non ha senso nel gioco di linguistico della descrizione della realtà).
In realtà questo complica ancora di più il nostro uso del linguaggio perché gli errori di utilizzare le parole in giochi linguistici non adatti (sono esteticamente adatti come diceva Wittgenstein) sono all'ordine del giorno, perché il nostro linguaggio è un linguaggio che passa costantemente da un gioco linguistico all'altro, infatti i giochi linguistici sono dei giochi di strada ovvero sono costituiti da sentieri che si sovrappongono gli uni sugli altri, che ci fa ancora di più capire perché la filosofia si presenta come soluzione di aporie (letteralmente “non sentiero”).

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