Marx porta alle estreme conseguenze quello che Feuerbach aveva detto, infatti arriverà a dire che tutte le caratteristiche cosiddette universali (lo cultura, la religione e la stessa coscienza) non sono nient'altro che sovrastrutture che l'uomo crea sopra quella che è la dimensione fondamentale dell'esistenza, ovvero il sistema di bisogni e il conflitto di natura economica; infatti secondo Marx l'uomo è innanzitutto uno portatore di bisogni e che si evolve da sempre trasformando i sistemi attraverso il quale può soddisfare questi bisogni (l'evoluzione di questi sistemi è la storia dell'economia).
Così come Feuerbach trova la sua origine in Hegel, anche il marxismo può essere considerato figlio dell’hegelismo perché come vedremo Marx farà propri alcuni aspetti dell’hegelismo (in particolare la dialettica e lo storicismo, ovvero la concezione che la storia si muova in direzione di un obiettivo che è già iscritto adesso nelle strutture della storia e che per Marx sarà l'avvento del comunismo).
Uno degli aspetti che distingue Marx da Hegel è, come abbiamo detto, quello dell'importanza che il Marx attribuisce alla prassi; questo primato della prassi Marx lo incarna anche in quella che è la sua produzione teoretica. Il pensiero di Marx quindi si può dividere in tre parti:
1. fase filosofica, dove prevalgono le questioni di natura teoretica più che di natura sociale e politica e quindi prevalgono le esigenze di tipo filosofico, che in qualche modo è caratterizzata da cinque opere, tra le quali “Differenza tra la filosofia naturale di Epicuro e quella di Democrito”, entrambi questi due filosofi erano degli atomisti ma nelle loro concezione Marx trova una differenza che lo fa tendere di più verso Epicuro che verso Democrito: per entrambi la realtà nasce quando un atomo cambia traiettoria e si scontra con un altro, ma mentre per Democrito questo cambio di traiettoria è casuale, per Epicuro la realtà si forma solamente perché c'è un gesto di libertà.
Ma l'opera più importante di questo periodo è un'opera nella quale il Marx critica esplicitamente Hegel, non a caso si intitola “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”, una questione che Hegel aveva affrontato in un testo che si intitolava “Lineamenti di una filosofia per il diritto”.
Poi ci sono altre tre opere che sono: “La sacra famiglia”, “Tesi su Feuerbach” e “L’ideologia tedesca” (dove critica gli elementi della ideologia tedesca ed in particolare la sinistra hegeliana)
2. il secondo periodo lo potremmo definire socio-politico, dove inizia a manifestarsi la sua vena politica e in particolare con due testi: “Miseria della filosofia” (nel quale critica l'atteggiamento utopistico di Prudon) e nel 1848 “Il manifesto del partito comunista”
3. il terzo periodo è quello che potremmo definire economico-sociale della produzione di Marx, in cui si privilegiano interessi di natura economica. In realtà il primo testo nel quale Marx si occupa espressamente dell'interpretazione delle teorie economiche precedenti è un testo che viene pubblicato nel 1844 e che quindi dovrebbe far parte del periodo filosofico e che si intitola “Manoscritti economico-filosofici”.
I testi che fanno parte di questo terzo periodo sono invece i più famosi: “Lineamenti fondamentali della critica a una economia politica” del 1859 e “Il capitale” nel 1866, che rappresenta la summa del pensiero economico di Marx
Potremmo dire che nella seconda e nella terza fase in realtà Marx cerca di portare a compimento qualcosa che aveva già concepito nella prima fase e che aveva espresso in modo perfetto nella 14ª tesi su Feuerbach dove dice che i filosofi si sono finora limitati ad interpretare il mondo, si tratta ora di trasformarlo, quindi da adesso il compito della filosofia non è solamente conoscitivo, ma diventa anche un compito di trasformare, ovvero la filosofia deve incominciare a delineare un mondo completamente diverso rispetto a quello che aveva caratterizzato il mondo attuale (c'è una critica a Feuerbach perché questo si era limitato ad interpretare il mondo senza capire come si trasformava).
Questa unione tra la dimensione teoretica e la razionalizzazione della nuova filosofia della prassi a concreta azione pratica nel tentativo di sviluppare l'ideale di riforma che poi avrebbe dovuto portare all’atto rivoluzionario si concretizzano in Marx nella prima internazionale socialista del 1874, che termina con l'esperienza della comune parigina.
Come abbiamo detto nella 14ª tesi contro Feuerbach Marx afferma una cosa molto importante, ovvero che i filosofi hanno diversamente interpretato il mondo ed ora si tratta di trasformarlo, perché si tratta di indicare quali sono i meccanismi che presiedono alla formazione delle strutture sociali, culturali e politiche che emergono dal reale, cercando di dimostrare come queste strutture in realtà derivano da una perversa dinamica economica, ovvero sono figlie del conflitto economico, che determina poi un conflitto fra le classi.
Dal punto di vista filosofico la parte più interessante del pensiero di Marx è la critica ha Hegel, che condotta essenzialmente nella “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”, opera del 1843, anche se in realtà la filosofia di Hegel gli arriva mediata dalla cosiddetta sinistra hegeliana (e in modo particolare da Freuerbach). Marx è uno che sa riconoscere i meriti degli avversari, anche di quelli che critica, e allo stesso modo riconosce i meriti di Hegel:
1. ha concepito la filosofia essenzialmente come attività laica, tesa a stabilire una superiorità della dimensione filosofica rispetto alla dimensione religiosa
2. ha saputo cogliere quella che è la molla che muove ogni evento nella realtà, ovvero il conflitto e la dialettica, anche se con un errore perché l'etica hegeliana è legata ancora contenuti di tipo metafisico, mentre per Marx lo spirito dialettico è rappresentato da un materialismo dialettico
3. Hegel ha individuato nella società civile (che è la seconda figura dell’eticità) come il luogo caratterizzato dai conflitti di natura economica, infatti dal conflitto fra le varie famiglie nascono i bisogni, da queste le classi che soddisfino questi bisogni e che in qualche modo guidino il processo rivoluzionario.
Il limite di Hegel è quello di non aver puntato sull'obiettivo di risolvere i conflitti ma di aver concepito lo Stato come elemento di mediazione di questi conflitti. Le istituzioni per Hegel sono manifestazioni dello spirito e quindi devono necessariamente esserci, questo come abbiamo detto porterà al cosiddetto giustificazionalismo hegeliano che è quanto di più distante dalla concezione marxista, infatti Hegel concepisce l'idea della razionalità dello Stato come qualcosa che precede la realtà concreta, anzi lo Stato come spirito e razionalità ha senso mentre l'individuo concreto non ha senso. Secondo Marx Hegel rovescia i termini della questione perché mette là dove stavano in piedi la testa e viceversa, si tratta quindi di rovesciare il sistema hegeliano per far capire che prima viene la concretezza (che per Marx sono i bisogni di natura materiale del mondo economico) e sopra i conflitti che emergono da questa concretezza viene lo Stato. Per Marx Hegel ragiona come se prima venisse prima l'idea di frutta e poi la frutta concreta, cosa che è assurda infatti è vero il contrario.
Quindi come vediamo in questo Marx è vicino a Feuerbach per quello che riguarda l'attenzione agli aspetti materiali, con una connotazione particolare, ovvero che non si tratta più di interpretare la realtà ma si tratta anche di tradurre quale è il concreto.
Quindi dal punto di vista politico lo stato di Hegel è un'entità astratta, ha quasi una dignità metafisica, ecco perché Hegel non può concepire la ribellione, mentre come sappiamo per Marx il gesto rivoluzionario e ciò che avrebbe dovuto far sorgere una nuova società.
Per essendo più vicino a Feuerbach Marx non si fa scrupoli e critica anche la sinistra hegeliana, perché anche loro hanno concepito una critica al razionalismo hegeliano mettendo però in primo piano la dimensione del pensiero rispetto alla concretezza. Feuerbach ad esempio crede che si possa ridurre la dinamica politica ad antropolicizzazione della teologia, ma Marx non si limita a criticare Feuerbach ma anche tutti quei socialisti utopisti della sinistra hegeliana che per Marx non hanno capito che i veri meccanismi che governano l'ambito sociale e per questo ritengono che cambiando le istituzioni (ovvero attraverso tutta una serie di riforme politiche) si possa risolvere problemi di giustizia sociale ed economica che sono presenti all'interno della realtà. Per Marx è vero piuttosto il contrario perché solamente eliminando quelle che sono le cause che portano ad istituzioni e leggi ingiuste si può risolvere il problema. È un atteggiamento miope quello dei membri della sinistra hegeliana perché non vedono dove sta l'origine dei problemi sociali, che non sta in leggi sbagliate ma nella presenza delle classi che determina la lotta fra le classi; infatti il comunismo non sarà l'avvento della classe proletaria ma sarà presente solamente quando non ci saranno più le classi.
La colpa dei socialisti utopisti e quella di combattere più contro delle idee, ritenendole espressione compiuta del mondo reale, piuttosto che contro il mondo reale contro il quale bisognerebbe combattere. Nessuno di loro ha indagato la storia in modo scientifico (ovvero cercando di leggere nella storia quello che dimostra) per vedere che il sistema dei bisogni ed i tentativi di soddisfarli e stanno all'origine dei conflitti sociali.
L’origine della disuguaglianza sta nell’istituzione della proprietà privata (come diceva Roussoe), perché proprio l'istituzione della proprietà privata e l'affermazione di una classe che incomincia a detenere i mezzi di produzione e che quindi usa altri individui, questo è ciò che si pone all'origine delle disuguaglianze che per Marx è l'essenza dell'età industriale, ovvero il sistema di alienazione che riguarda il mondo industriale. Marx esprime questa critica nei “Manoscritti economico-filosofici”, nel quale incomincia a confrontarsi con i grandi teorici dell'economia liberale, anche allora riconoscere i meriti (ad esempio il fatto di aver individuato nell'atto economico l'elemento originario di tutti gli aspetti dell'uomo). Alcuni di loro hanno addirittura affermato il valore del lavoro, come elemento determinante per stabilire il valore di una determinata cosa, ma quello che piace di più a Marx è l'aver identificato nell'importanza della struttura economica nel determinare la nascita delle istituzioni politiche, rovesciando un dato che si dava per scontato, ovvero che l'economia dipendesse dal governo e dal potere. Non è quindi il sistema socialdemocratico che afferma la mentalità capitalista borghese e quindi l'economia liberale, ma è contrario e infatti l'economia liberista che dà origine a quelle determinate situazioni.
Ciò che non hanno capito è il fatto di aver presentato alcune categorie che riguardano l'economico non come categorie storiche ma come categorie naturali, ovvero che avevano già la loro giustificazione nello stato di natura, come avviene per la proprietà privata. Invece anche la proprietà privata non è naturale ma è qualcosa di storico perché dipende dal fatto che ad un certo momento qualcuno ha deciso di stabilire una distinzione tra chi pensa e chi lavora. Ciò è dimostrato dal fatto che dopo che si è ideata la proprietà privata si è subito determinata una distinzione tra sfruttatori e sfruttati. Naturalmente il concetto di proprietà privata è venuto fuori grazie all'economia capitalista, dove la proprietà ha assunto il volto del denaro e del capitale.
Nel mondo capitalista della società industriale, che ne è espressione, si raggiunge il compimento della distinzione che ha segnato fin dagli inizi il conflitto tra le classi, ovvero quella distinzione fra chi possiede i mezzi di produzione e chi non li ha e quindi deve lavorare. Si è venuta a creare per la prima volta quella relazione, che per Marx c'è da sempre, tra possesso dei mezzi di produzione e rapporti sociali di produzione (fra chi produce per sé e chi fa produrre per altri). Questa caratteristica propria dell'economia borghese nasce in un momento preciso, ovvero quando inizia la distinzione fra chi lavora con la testa e chi lavora con il corpo, fra chi va in direzione di quello che dovrebbe realizzare la società comunista (ovvero la società delle libertà dallo sfruttamento dalla fatica del lavoro) ma che riesce a raggiungere questa libertà perché sfrutta chi lavora per lui, mentre per Marx tutti devono essere ugualmente liberi. Quindi è il momento della negazione nel quale una parte della società deve alienare se stessa e per dimostrare quanto la società capitalista stia facendo ciò Marx in un testo dimostra che nella società industriale il concetto di lavoro come oggettivazione dell'individuo (ovvero la trasformazione dell'individuo lavoratore in oggetto) e il concetto di alienazione.
Nella società industriale Marx dice che l'operaio è separato tre volte da se stesso e dalla propria natura. L'alienazione non è un concetto che inventa Marx, ma in un certo senso già ne aveva parlato Hegel che però era un concetto positivo (anche Feuerbach ne aveva parlato). Ma Marx l’alienazione si compie in tre momenti:
1. l'uomo si aliena dal prodotto del proprio lavoro, perché con la settorializzazione e della divisione del lavoro l'uomo non produce più l'oggetto ma produce una mansione e l'oggetto non appartiene più a lui
2. l'operaio è alienato dalla propria attività produttiva e dalla propria creatività, perché sempre a causa della settorializzazione e della divisione del lavoro l'uomo non va più in direzione della creatività ma ripete un'unica mansione che lo lega alla macchina
3. essendo l'uomo un homo faber se viene privato di queste due cose viene anche privato della sua esistenza e quindi alla propria umanità
A partire da questa situazione Marx “Nell’ideologia tedesca” approda ad un altro concetto fondamentale, ovvero quello dello storicismo materialista, ovvero una concezione di una storia che si evolve ed ha dei fini già prescritto in sé, ma naturalmente questo fine in sé che è già prescritto trova la propria molla evolutiva non nella razionalità dello spirito ma in elementi di tipo materiale.
Il titolo ci fa capire che in quest'opera Marx critica l'ideologia tedesca, ovvero polemizza contro ogni forma di idealismo ed intellettualismo che caratterizza la cultura del suo tempo, perché anche la cultura tedesca alla quale si sta rivolgendo ha un limite, ovvero quello di partire e basarsi dalle idee e non dei fatti, ovvero ancora troppo intrisa di idealismo ed hegelismo, ovvero ritiene che sia al pensiero a determinare i fatti. Ma Marx ritiene che è vero il contrario ovvero che sono i fatti (i meccanismi dei conflitti di tipo sociale) che plasmano formano il pensiero. Non esiste quindi la coscienza e neanche il soggetto che pensa e interpreta la realtà e la trasforma, per questo Marx è uno dei tre maestri del sospetto, infatti anche lui porta un attacco decisivo alla coscienza (a quell'elemento che nella filosofia precedente era considerato centrale). La coscienza non è un fatto assoluto, non è qualcosa che è ma è qualcosa di che diviene, è dice Marx un fatto sociale, un prodotto sociale. Non solo ciò che gli individui sono ma anche ciò che gli individui pensano dipendono dalle loro concrete situazioni di vita, ecco perché la filosofia deve trovare come punto di partenza non le idee o nell'interpretazione del reale ma negli individui reali, ovvero quegli individui che vengono analizzati, interpretati e compresi a partire dalla loro concreta situazione sociale e dai loro concreti bisogni. Ecco perché Marx diffida anche delle cosiddette concezioni antropologiche universali (ovvero quelle che danno una descrizione dell'uomo a carattere universale), perché non esiste l'uomo universale perché l'uomo è sempre figlio delle proprie condizioni di vita economica che lo determinano. Non esiste l'uomo naturale ma esiste soltanto l'uomo storico (ecco perché storicismo) e l'uomo storico è l'uomo materiale, ovvero quello che ha dei bisogni economici che deve soddisfare (non è quindi la natura la dimensione peculiare dell'uomo ma è la storia). Siamo quindi di fronte a un rovesciamento di ciò che diceva Hegel, infatti per Hegel c'è la storia che giustifica gli individui mentre per Marx ci sono gli individui storici che sono anch'essi conseguenza della storia ma che fanno la storia attraverso i loro conflitti di natura economica e materia.
L'uomo si differenzia dall'animale per il fatto che l'uomo progetta un sistema che prevede la possibilità di soddisfare tali bisogni, mentre gli animali reagiscono in modo immediato al bisogno, la soddisfazione dei bisogni dell'uomo è qualcosa di più complesso, l'uomo diventa l'animale che crea gli strumenti tecnici per superare propri bisogni, l'umanità quindi non nasce quando l'uomo raccoglie la mela dal ramo più basso, ma quando inventa la scala che gli permette di raggiungere la mela che sta sul ramo più alto, ovvero quando inventa i mezzi di produzione. Ma quando iniziano a comparire gli strumenti incomincia comparire anche la differenza tra chi ha inventato lo strumento e lo possiede e chi non l'ha inventato e che in qualche modo viene sfruttato da chi lo possiede per sopravvivere.
La natura quindi non è la dimensione peculiare dell'uomo perché l’umanità nasce quando l’uomo usa il cervello ed inventa i mezzi di produzione, la distinzione dalla quale si origina lo sfruttamento delle classi è caratterizzato dalla separazione tra chi lavora e chi pensa (o non lavora con le mani) e riguarda i mezzi di produzione, perché chi detiene i mezzi di produzione incomincia a diventare colui a cui spetta il consumo e la fruizione del lavoro degli altri.
La storia si evolve attraverso una meccanismo che porta ogni volta che si trova mezzo che ci permette di soddisfare un bisogno, all'evoluzione dei nuovi bisogni che creano l'esigenza di nuovi mezzi di produzione. Ogni immissione di mezzi di produzione va ad alterare quelli che Marx chiama rapporti sociali di produzione, che poi sono i rapporti fra le classi. Quindi in ogni società ci sono state le classi e le classi in generale sono divise tra le classi degli sfruttatori e quelle degli sfruttati, questo determina un conflitto e proprio questo conflitto e soprattutto l'evoluzione dei mezzi di produzione che determina cambiamenti all'evoluzione della storia. Ovvero ogni società in qualche modo evolvendosi, cioè evolvendo i mezzi di produzione e quindi i rapporti sociali di produzione, crea i presupposti di ciò che la elimineranno (così come la società feudale ha creato la borghesia, che poi la eliminata, il sistema borghese sta creando la classe che sarà destinata a sostituirla che la classe proletaria).
Quindi un materialismo storico è una storiografia che vede nelle strutture economiche le strutture fondamentali della società e che ritiene che tutto ciò che in qualche modo viene partorito dalla società (la cultura, la religione, le istituzioni politiche, la stessa soggettività, eccetera) sono sovrastrutture, però sono frutto delle strutture economiche (cioè dipendono dalle strutture economiche).
Già nell'ideologia tedesca Marx non si limita all'ambito economico ma si rivolge già al futuro, ovvero la distinzione attraverso uno studio scientifico della realtà economica e sociale presente è ciò che permette una corretta delineazione del futuro. Questa prospettiva che viene abbozzata nell'ideologia tedesca viene per la prima volta formulata in un modo uno poco più compiuto nel manifesto del partito comunista, nel quale si comincia prefigurare quale dovrà essere necessariamente il percorso della storia secondo Marx, ovvero l'approdo alla società comunista, ovvero quella società in cui si mettono in comune i mezzi di produzione (in realtà questa idea era già stata usata da molti come Platone, Campanella, Moore, Babeuf e altri). Marx però ritiene che la sua società comunista debba avere dei caratteri diversi, ovvero non nasce da una costruzione utopica (ovvero non delinea una realtà che non c'è ma dovrebbe esserci) perché per Marx il comunismo è una realtà, non è qualcosa che potrebbe giungere a realizzarsi ma è qualcosa che c'è scritto nella storia e necessariamente arriverà.
Ma quali saranno le caratteristiche di questa società? Su questo fatto Marx rimane abbastanza oscuro anche nel manifesto del partito comunista, infatti questo tipo di società viene più che altro accennata e descritta; quello che gli preme di sottolineare è che il comunismo si sta costruendo anche adesso e troverà un suo compimento quando verrà oltrepassata l’economia di tipo liberale, la quale ha portato al punto più alto lo scontro tra le classi per quello che riguarda i rapporti di tipo sociale tra le classi. Mai lo sfruttamento ha raggiunto queste proporzioni e soprattutto è diventato un elemento costitutivo affinché la società industriale possa funzionare, tutto si basa sull'aumento del capitale e questo giustifica ogni cosa.
Ma per Marx, affinché si realizzi questo passaggio, sono necessarie due premesse che sono fondamentali:
1. lasciar compiere fino in fondo il processo capitalista, alla fine della quale esploderà la rivoluzione che porterà sovvertire i rapporti tra le classi. Questo avverrà naturalmente nei paesi più progrediti (Inghilterra, Francia, Germania, eccetera)
2. che si affermi l'ultima fase del capitalismo, ovvero il mono-oligopolismo finanziario, cioè il fatto che la ricchezza si concentri sempre in almeno mani
A questo punto il contrasto delle classi sarà evidentissimo e chi è espropriato di tutto non potrà che ribellarsi appropriandosi dei mezzi di produzione.
Secondo alcuni questa scientificità che prefigura già quello che verrà è stato definito fatalismo rivoluzionario, ovvero se tutto è già scritto che tipo di ruolo può avere la classe proletaria per realizzare questa rivoluzione, come sappiamo Marx elabora questa teoria per non cadere in quello che lui chiamava velleitarismo romantico (ovvero la volontà di fare qualcosa senza poi di non avere gli strumenti adeguati per poterla fare) ma rimane comunque il problema che se tutto è già deciso ed è già determinato il ruolo anche della classe rivoluzionaria per eccellenza non può che essere un ruolo passivo. Marx utilizza due categorie fondamentali per dare importanza al gesto rivoluzionario, la prima è la consapevolezza del ruolo rivoluzionario (che si avrà quando saranno realizzate le due premesse fondamentali) e la seconda è chiamata da Marx l'iniziativa trasformatrice delle masse, ovvero una volta raggiunta la consapevolezza del proprio ruolo l’iniziativa trasformatrice sarà il gesto rivoluzionario che dovrà determinare la rivoluzione. Quindi secondo Marx la rivoluzione nasce da questo rapporto congiunto fra la storia e gli individui.
Secondo Marx comunque è importante che la società comunista non venga vista come una mera riforma dell'esistente, ovvero il comunismo non dovrà essere la società industriale emendata dallo sfruttamento (non dovrà essere una riforma della società attuale), la società comunista è quella nella quale si andranno definitivamente a modificare le cause che hanno generato fino ad oggi lo sfruttamento del conflitto che caratterizza i rapporti sociali tra le classi. La società comunista e anche la creazione di un nuovo modello di umanità, ovvero produrrà un uomo nuovo ma soprattutto libera dallo sfruttamento e dalla fatica (libera dalla costrizione di chi detiene i mezzi di produzione). Questo potrà avvenire solo quando si sopprimerà il caposaldo della società capitalista, ovvero la proprietà privata dei mezzi di produzione, quindi bisognerà passare alla proprietà collettiva dei mezzi di produzione. A quel punto, venendo meno quella che all'origine di tutti i conflitti sociali e quindi l'origine della distinzione in classe, verranno anche meno le classi (quindi il comunismo non è la società nella quale il proletariato al potere). Come vedremo questo dipende dal fatto che secondo Marx ad un certo punto lo Stato avrebbe dovuto estinguersi, perché lo Stato, inteso come quella totalità di norme giuridiche intese a preservare fondamentalmente la proprietà privata, una volta che viene meno alla proprietà privata, non ha più ragione di esistere; paradossalmente la collettivizzazione dei mezzi di produzione per Marx avrebbe dovuto portare all'annullamento dello stato (a differenza dell'anarchismo che vuole la distruzione del potere), anche se in realtà nel passaggio dalla società capitalista a quella socialista un po' di Stato ci vuole, ovvero c'è il momento della cosiddetta dittatura del proletariato, ma poi questo momento è destinato a passare.
Come sappiamo nel manifesto del partito comunista Marx elogia la borghesia, perché la definisce la classe più rivoluzionarie, infatti la borghesia ha permesso il passaggio dalla società feudale alla società capitalista che per certi versi è migliore di quella feudale, inoltre ha messo l'accento dinamico sull'economia (mentre nella società feudale l'economia è chiusa) ed ha promosso lo sviluppo scientifico e tecnologico, che ha portato ad un miglioramento delle condizioni dell'uomo. Soprattutto la società borghese ha mosso l'attenzione sul fatto concreto piuttosto che non solo astratto (ovvero dato più importanza alla dimensione mondana della vita piuttosto che non alla dimensione trascendente). Tutti questi fattori hanno permesso alla società borghese di creare una società più ricca, ma il suo limite è il fatto che ha realizzato tutto ciò sul fondamento di un'ingiustizia, ovvero sull'accentuazione sempre più evidente di uno sfruttamento (dell'imprenditore nei confronti dell'operaio). Proprio per questo la borghesia non si rende conto di essere come l'apprendista stregone, ovvero come colui che mentre realizza se stesso evoca anche quelle che saranno le forze destinate a distruggerlo (ovvero le masse proletarie).
Nel manifesto di Marx critica anche quelli che vengono considerati i tre momenti del socialismo, ovvero il socialismo rivoluzionario, quello conservatore-borghese e il socialismo critico-utopistico, perché tutti e tre tendono a voler riformare l'esistente e non si rendono conto che invece per risolvere definitivamente il problema dello sfruttamento bisogna eliminare le cause di tale sfruttamento.
Tuttavia dalla società comunista comunque sappiamo poco e lo stesso manifesto fa capire di essere esso stesso una esortazione perché si conclude con una esortazione “proletari di tutto il mondo unitevi”. Quindi la realtà può essere modificata solamente attraverso la trasformazione dei processi di natura economica, ecco perché l'ultima parte del pensiero di Marx è fondamentalmente deputata ad indagare scientificamente l'ambiente economico. Capolavoro di questo periodo è il capitale, nel quale Marx vuole indagare scientificamente (ovvero criticamente) le strutture economiche; scopo fondamentale è quello di individuare quali sono le categorie fondamentali dell'economico e di criticare loro presupposti naturalistici (ovvero criticare i loro presupposti di essere universali).
Secondo Marx nel capitale non si deve più seguire l'andamento della ricerca intellettuale (ovvero quello della teoria-prassi-teoria), ma si deve passare alla pressi-teoria-prassi, ovvero si parte dalla scelta di trasformare operativamente la realtà, si passa poi alla teoria per vedere quali sono i presupposti dalla realtà, per poi tornare di nuovo alla prassi una volta che ho capito quali sono i fondamenti categorici dell'economico a questo punto posso agire effettivamente una prassi efficace.
Anche il capitale si apre attraverso una rilettura sia delle teorie economiche di precedenti (nel tentativo di determinare quali siano gli elementi di degenerazione) sia di alcuni pensieri filosofici dominanti nell'epoca precedente. Potremmo dire che nel capitale di Marx utilizza a piene mani il pensiero hegeliano, stabilendo che in ambiente economico tutto è basato su una dialettica conflittuale (ovvero che la società è conflitto), stabilendo un ruolo fondamentale alla negatività, ovvero il negare qualcosa come elemento positivo, ma soprattutto nella convinzione che esista una intrinseca razionalità in ciò che avviene nella storia, perché anche la società capitalista e più razionale della società feudale, perché tutto si muove in direzione del meglio e questo è quello che viene chiamato storicismo marxista.
Nell'analisi della tradizione precedente Marx prende spunto da una categoria che era già stata utilizzata, ovvero la categoria di merce, intendendo per merce un oggetto caratterizzato da un determinato valore che viene prodotto, commercializzato e consumato. Proprio l'analisi di Marx sul concetto di merce inizia a far sì che successivamente a lui si possa parlare anche dei beni come una merce.
Lettura “Che cosa è la merce”
La merce essenzialmente è qualcosa che ha un valore d’uso (per esempio la penna a come valore d'uso il scrivere), il valore d'uso è ciò che si realizzano nel consumo. La merce però è qualcosa di strano perché presenta dei valori che non si manifestano nell'oggetto in quanto tale e questo si chiama valore di scambio delle merci. È chiaro che questo tipo di valore diventa importante in una società che fa del capitale l'elemento più importante, perché alla base del capitale ci sta la circolazione delle merci e la circolazione delle merci è permessa là dove io posso scambiare una cosa con un'altra diversa da essa (per esempio una capra con una casa). Se ci fosse solo il valore l'uso io potrei cambiare le cose solo con altre cose identiche ad esse, il valore di scambio invece mi permette di scambiare cose diverse tra di loro; quindi la ricchezza si determina sul valore di scambio. Mentre il valore d'uso si basa sulle qualità, il valore di scambio si basa essenzialmente su rapporti di tipo qualitativo.
Ma cosa stabilisce il valore di scambio di una cosa? Marx dice che il valore di scambio si stabilisce dal lavoro che è stato fatto per realizzare una determinata merce. È chiaro che anche questo è una cosa che è già stata fermata in precedenza; si arriva quindi alla coincidenza fra lavoro e valore, come aveva già detto Locke (e Smith).
Una volta che è stato stabilito Marx inventa due categorie fondamentali che secondo lui caratterizzano il capitalismo, ovvero le categorie di capitale e di reddito. La legge che presiede l'economia capitalista è quella di aumentare quanto possibile il reddito perché ciò che conta è accumulare sempre di più capitale; questo è possibile aumentando il profitto rispetto ai costi. Ma i costi sono determinati dal costo delle materie prime ma anche da una merce particolare, ovvero il lavoro, quella merce che qualcuno mette a disposizione di qualcun altro che possiede i mezzi di produzione per realizzare la produzione, ma questa merce è anche quella che determina il valore di scambio del prodotto finito, quindi poiché chi lavora aumenta il valore di una determinata merce dovrebbe essere chi lavora a trarre un profitto. Invece è chi non lavora che trae profitto dal lavoro degli altri. Questo è determinato anche dal fatto che l'imprenditore tende a ridurre il lavoro a una merce come tutte le altre, ma normalmente ogni merce si paga in base al valore di scambio che ogni merce ha (il lavoro quindi è l'insieme delle forze fisiche e morali che producono un qualunque valore d’uso di ogni specie); ma in realtà la merce-lavoro corrisponda tutti quei mezzi di sussistenza che sono necessari all'operaio per mantenere in vita se stesso e la propria famiglia. Quindi quando l'imprenditore compra la merce-lavoro paga una quota di salario che sarà necessaria per mantenere in vita l'operaio e la sua famiglia e su questo si basa la teoria del plusvalore.
Ovvero se un operaio lavora 12 ore il capitalista dà all'operaio una salario che in realtà corrisponde a 6 ore di lavoro, mentre le altre 6 ore sono il plusvalore che l'imprenditore si prende e che gli permette di accumulare il suo capitale. Quindi il capitalismo preleva una parte del lavoro dell'operaio e se lo tiene, il capitale quindi diventa lavoro morto resuscita come un vampiro, perché succhia il lavoro dall'operaio. Ma in realtà per Marx il capitale si divide in capitale fisso, che è quello che non riguarda il lavoro e corrisponde ai macchinari, mentre il capitale circolante è quello che riguarda il lavoro.
Compito dell'imprenditore è quello di cercare di aumentare il proprio capitale, ora poiché il valore di una merce è determinato dal lavoro, secondo questa teoria, in realtà può essere modificato solo dal capitale circolante (ovvero lavoro), quindi è chiaro che l'imprenditore dovrà agire su questo se vorrà ottenere sempre più valore, dovrà sfruttare sempre di più quello che il capitale circolante e quindi il lavoro dell'operaio.
Questo modello si basa secondo Marx sulla trasformazione completa di tutti quelli che erano i sistemi produttivi precedenti, ovvero mentre prima il sistema era merce-denaro-merce (quindi si partiva dalla merce, si otteneva denaro per arrivare nuovamente alla merce), il sistema capitalista rovescia questo sistema e si basa su denaro-merce-denaro, ovvero alla fine era l'inizio del processo produttivo non c'è la merce ma c'è il denaro, quindi la merce non è nient'altro che qualcosa di indispensabile per creare più denaro.
Lettura “La distinzione tra M-D-M e D-M-D”
Il capitalismo secondo Marx si basa essenzialmente sulla mancanza di limiti, infatti, mentre la merce è limitata per sua stessa natura perché è qualcosa di fisico, il denaro, proprio perché è qualcosa di virtuale, è qualcosa che tendenzialmente è illimitato.
Nel sistema M-D-M ciò che domina nella categoria delle merci, ovvero la categoria del bene, il sistema capitalistico invece trae la sua origine nella dimensione della vendita e non dell'acquisto, ovvero l'acquisto di merce non è dovuto a una mia esigenza ma è funzionale alla vendita successiva, ovvero il guadagno. È chiaro che all'interno di questo modello il profitto diventa l'elemento essenziale e per raggiungere il profitto qualsiasi cosa è ritenuta legittima. Ora è chiaro che un imprenditore cercherà di aumentare sempre di più il capitale attraverso due sistemi o aumenta le ore di lavoro degli operai oppure diminuisce i salari, tutto questo non potrà che basarsi su delle condizioni di sfruttamento. Ma c'è un problema, infatti quando non si possono più abbassare i salari o aumentare le ore di lavoro, se no l'operaio morirebbe, si creano i presupposti per la rivoluzione.
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