giovedì 15 settembre 2011

Mill

Di tutt’altro tenore è una riflessione di Mill, entrambi però hanno questa specifica convinzione della superiorità del sapere scientifico e dell'applicazione del metodo scientifico ad ogni ambito di conoscenza, entrambi identificano il valore specifico del sapere scientifico nella sua capacità predittiva. Ma stabilito questo poi le differenze sono costitutive e radicali, ad esempio la demarcazione tra scienza e non scienza e differente, perché Mill inserisce pienamente all’interno della materie scientifiche la psicologia e la logica, ovvero la logica come unico metodo adeguato di indagine scientifica si presenta come una sorta di struttura fondamentale per la scoperta scientifica (come una sorta di scienza della scoperta scientifica), mentre la psicologia per Mill è addirittura la scienza fondamentale, ovvero quella che proprio perché ci permette di studiare gli atti mentali attraverso i quali noi conosciamo la realtà ci permette di giustificare il metodo scientifico come quello più adeguato per raggiungere tali conoscenze. Tra l'altro Mill, come vedremo, stabilisce una sorta di legame strettissimo tra le due discipline perché anche la logica in realtà trova il proprio fondamento in quella che secondo Mill è l’essenza propria dell'umano in quanto tale, ovvero “l’associazionismo psicologico”, ovvero il fatto che noi non siamo nient'altro che l'associazione di sensazioni e percezioni e che proprio da queste associazioni di percezioni e sensazioni emerge tutto ciò che sappiamo della realtà.
Queste prime definizioni ci fanno capire perché Mill sia uno tra i maggiori esponenti dell'empirismo britannico.
Anche per Mill, come per tutti gli empiristi, l'esperienza si pone alla base di ogni nostra conoscenza e anche la logica non trova la propria origine da strutture a priori della nostra mente o in un centralino funzionale ma trova la propria origine da esperienze particolari.
Come sappiamo molti empiristi hanno dato particolare importanza alla questione del linguaggio e del pensiero e Mill non si sottrae da ciò, anzi la sua opera più importante, pubblicato nel 1848, si intitola “Sistema di logica deduttiva ed induttiva”, dove riprende le opere gnoseologiche di Hume e a partire da queste porterà avanti un'indagine nella quale metterà in discussione anche quelli che sono considerati i presupposti della conoscenza scientifica, che è una conoscenza di tipo induttivo, ovvero la stessa legge di induzione.
Prima di spiegare l'importanza di quest'opera bisogna sapere la distinzione tra conoscenza induttiva e conoscenza deduttiva, la deduzione è un procedimento conoscitivo attraverso il quale, partendo da premesse universali si arriva a conclusioni particolari e si basa sulla necessaria relazione che lega le
premesse alla conclusione (la forma più nota di ragionamento deduttivo è il sillogismo aristotelico, dove a partire da premesse si arriva a concludere una cosa che non è modificata anche se aggiungono nuove premesse). L’induzione è invece un processo conoscitivo attraverso il quale da osservazioni particolari arrivo alla formulazione di leggi universali, in questo caso però il legame che lega le premesse alla conclusione non è necessario, quindi ulteriori premesse possono modificare la conclusione.
Poi c'è la conoscenza di tipo intuitiva, nella quale la conoscenza di qualcosa risulta in modo auto evidente e quindi immediata.

Mill in questo “sistema di logica deduttiva ed induttiva” stabilisce una distinzione tra due coppie di concetti che poi diventerà fondamentale per la logica successiva. La prima distinzione che stabilisce è quella tra denotazione e connotazione, nella denotazione mettiamo un oggetto in una categoria mentre nella connotazione stabiliamo le caratteristiche costitutive che determinano quella classe. Quindi la denotazione è ampliativa mentre la connotazione è restrittiva, ad esempio la penna è un oggetto scrivente e la tastiera è un oggetto scrivente, mentre se dico oggetto che scrive su un foglio virtuale, in questo caso identifico solo la tastiera e quindi ho fatto una connotazione.
Un'altra distinzione che pone Mill in quest'opera è quella tra proposizioni verbali e proposizioni reali, questa distinzione però riprende quella che già aveva stabilito Kant tra proposizioni analitiche e sintetiche, infatti le proposizioni verbali sono proposizioni analitiche, perché non fanno nient'altro che descrivere attraverso l'uso di parole un oggetto senza dire nulla di più, le proposizioni reali sono invece sintetiche perché descrivono la realtà e fanno riferimento all'esperienza.

Stabilite le regole per ciò che riguarda il logico e l'empirico Mill cercherà di dimostrare come ogni conoscenza umana, ogni principio e ogni legge si basano essenzialmente su un'esperienza di tipo empirico, Mill quindi rifiuta tutte quelle questioni di tipo metafisico che si sottraggono all'indagine della natura ed è il primo a pensare che le proposizioni metafisiche che descrivono cose rintracciabili nella natura non siano false ma sono insensate.
Radicalizzando queste posizioni di partenza Mill arriva ad affermare che non esistono proposizioni universali e che quindi tutte le proposizioni hanno un'origine particolare, in quanto non sono nient'altro che generalizzazioni di esperienze particolari. Anche la frase che tutti gli uomini sono mortali è solo la generalizzazione del fatto che tutte le persone che sono vissute finora sono sempre morte, quindi per avere una proposizione universale in realtà dovremmo aver fatto tutte le esperienze passate, presenti e future.
Non essendoci altra forma di esperienza che ci permetta di indagare la realtà al di fuori dell'induzione è chiaro che la generalizzazione di esperienze particolari non può mai portare a formulazioni universali. Anche la stessa legge di induzione secondo Mill deriva dalla generalizzazione delle esperienze, ovvero deriva dal fatto che aver esperito che osservando costantemente esperienze particolari che si presentano sempre secondo determinate circostanze è possibile generalizzare queste conoscenze arrivando a una formulazione che mi permetta di raccoglierle tutte in tale generalizzazione, mettendo insieme tutte queste generalizzazioni mi vado a formare la legge di induzione.
Ma Mill non si ferma qui e dice che anche quelle che erano ritenute verità intuitive, ovvero i principi della logica, in realtà non sono universali ma sono anch'essi figli di generalizzazioni di esperienze particolari che facciamo; prendiamo per esempio il principio di non contraddizione, il quale non è nient'altro che la generalizzazione di particolari esperienze psicologiche che noi compiamo, ovvero quelle che ci dimostra come siano incompossibili atti mentali nei quali affermiamo di una cosa contemporaneamente una sua caratteristica è il suo contrario.
Questo vale anche per tutte le altre leggi, come la legge di causa ed effetto, infatti questa non è nient'altro che una generalizzazione (come diceva Hume) di una continuità nello spazio, di una successione nel tempo e di una costanza nel presentarsi. Ma per Mill la relazione causa effetto non si basa solamente sull'abitudine, come diceva Hume, ma è necessaria un'altra credenza che noi ci forniamo attraverso tutte le esperienze che facciamo, ovvero quella della costanza della natura, infatti secondo Mill la natura è uniforme e quindi si presenta sempre nello stesso modo e questo è ciò che ci fa ritenere che da condizioni simili non posso che avere effetti simili, da questo inoltre si ricava la preditività della scienza.

Questa attenzione all'esperienza fa di Mill un pensatore diverso da Comte, infatti Mill non arriva alla formulazione di quella società perfetta, che per Comte era la società industriale, ma questo non vuol dire che Mill non si sia occupato di politica e di etica.
La riflessione etica e socio-politica di Mill parte da un paradigma epistemologico che è il paradigma utilitaristico, l'utilitarismo è la morale che si espande nelle nuove società capitaliste (che trova la sua maggiore espressione nel “Saggio sulla ricchezza delle nazioni” di Adam Smith) e soprattutto in Inghilterra alla fine del settecento e gli inizi dell'ottocento; i maggiori teorizzatori dell'utilitarismo sono Bentham a James Mill (il padre). Mill userà l’utilitarismo cercherà di eliminare alcune esagerazioni egoistiche che erano proprie della morale bentamiana. Innanzitutto Bentham non fa altro che applicare all'interno dell'ambito etico e morale quelle stesse convinzioni che aveva espresso Adam Smith per quello che riguarda l'ambito economico, ovvero che l'utilità generale deriva dall'utilità particolare, quindi il compito che si dovrebbe prefiggere una società è quello di realizzare il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone possibili e che questo può essere realizzato lasciando libertà di azione agli individui, ovvero gli individui nel perseguire i loro interessi per fini egoistici nel tentativo di realizzare il loro utile personale determinano anche l'utilità e il benessere generale.
Da ciò deriva che le regole del comportamento non devono essere determinate da una morale prescrittiva ma devono lasciare spazio a quella che è la costitutiva ricerca del proprio piacere personale che caratterizza gli individui.

Pur partendo dalla stessa radicale concezione liberale però Mill ritiene che in questa posizione così radicale di Bentham ci sia qualcosa di scorretto e di pericoloso, ovvero di scorretto c'è il fatto che si ritiene che l'uomo operi e agisca unicamente in direzione del piacere individuale, mentre secondo Mill esistono dei piaceri altruistici (ovvero anche nell'altruismo ciò piacere). La parte pericolosa è quella che ritiene che in realtà non ci sia alcuna possibilità di cercare di raggiungere una maggiore giustizia ed equità sociale se non confidando nell'effetto di contaminazione che gli egoisti hanno anche sulla collettività; questo è pericoloso perché potrebbe lasciare spazio ad altre interpretazioni della società, come quella marxista e socialista, che invece fanno proprio del raggiungimento di una maggiore equità sociale uno scopo centrale.
Mill da un certo punto di vista non crede che il marxismo sia totalmente negativo perché ritiene che alcune cose abbiano un senso, come la maggiore equità sociale, ma ritiene che non necessariamente bisogna passare attraverso il socialismo per realizzare questo, per questo Mill concepisce un minimo è limitato intervento dello Stato (mentre per Mill e per Bentham lo stato migliore è quello che interviene il minimo possibile, soprattutto in ambito economico).
L'unico compito che Mill lascia lo Stato è quello di stabilire delle norme che possano permettere una più equa distribuzione della ricchezza, per esempio una imposta fiscale che si basi sulla ricchezza (che vada a colpire di più i redditi maggiori e meno quelli minori), che rappresenta un mezzo che senza intervenire direttamente nella vita dell'individuo può creare una maggiore equità.
Tuttavia Mill pensa che anche nella socialismo ci sia qualcosa di negativo, infatti questo tipo di società è bassata sull'intervento diretto dello Stato sull'attività economica, questo secondo Mill rischia di creare dei problemi alle libertà individuali. Per Mill non deve neanche intervenire quando le azioni dell'individuo sono un pericolo per l'individuo, perché la libertà dell'individuo deve essere comunque rispettata (l'unica cosa che non viene tollerata il suicidio), l'unico limite che si impone all'individuo è quello di non nuocere la libertà degli altri. L'unico intervento che lo Stato può fare in ambito economico è quello di cercare di rendere più equa la retribuzione senza però intervenire sulle strategie di arricchimento personale che devono essere lasciata all'individuo.

Questo elemento fa di Mill un esponente molto progressista, non ha caso è considerato il padre del liberalismo, infatti “On liberty” è considerato il manifesto del liberalismo, ovvero una concezione che fa del rispetto delle libertà individuali la meta ispiratrice di ogni azione politica. Probabilmente è a partire da questi presupposti che Mill è anche uno dei primi teorizzatori della parità dei sessi.

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