giovedì 15 settembre 2011

Hegel

La filosofia di Hegel rappresenta il compimento della triade dialettica, ma prima di entrare nel sistema Hegel bisogna prima capire quali sono i momenti essenziali che ci possono introdurre al pensiero e al sistema hegeliano senza i quali non potremmo capire quello che Hegel andrà a dire.
Potremmo dire che la stessa biografia filosofica presenta delle affinità con il suo sistema, lui concepisce ogni sapere come un sapere storico, ovvero come qualcosa che si evolve storicamente, che progredisce (con un processo di natura dialettica); ma in questo progredire la meta coincide con l'origine, ovvero quello a cui si giunge coincide con una ripresa del punto originario però a un livello superiore. Questo perché Hegel agli esordi non si occupa neanche di filosofia ma si occupa di religione scrivendo due opere importanti “Vita di Gesù” e “Positività della religione cristiana”. Della prima opera Gesù viene presentato come il superamento della legge ebraica quindi come la negazione della fissità precedente rappresentato dalla legge ebraica e l’iniziatore di una nuova religione è basata sull'amore, sull'attività e sul cambiamento. In quest'opera Hegel denuncia come lo spirito della religione sia stato tradito dalla Chiesa perché ha trasformato questa religiosità del cambiamento e l'ha tradotta in qualcosa di dato e di fisso (caratterizzata da una ortodossia eccetera). Successivamente ritorna su queste posizioni e scrive “Dello spirito del cristianesimo e il suo destino”, della quale attribuisce al cristianesimo un compito fondamentale nella storia e nel destino del mondo.
Ma quando si trasferisce da Francoforte, dove scrive quest'ultima opera, l'interesse di Hegel si modifica radicalmente e i suoi interessi dall'ambito religioso puntano sempre di più all'ambito filosofico perché sorge qui un'idea, che diventerà l'elemento centrale della suo sistema, ovvero che non può essere la religione a realizzare la rivoluzione dello spirito ma è solo la filosofia che può scoprire che cosa lo spirito propriamente è in modo scientifico. Questa è un'idea fondamentale perché come vedremo nella filosofia dello spirito assoluto, che è l’ultima parte del sistema hegeliano e che è caratterizzata da tre momenti: l'arte, la religione, la filosofia, quest'ultima verrà concepita come il superamento della religione perché ha più spiritualità (nel senso che ha più a che fare con lo spirito); la filosofia viene vista come una religione che può cogliere l'essenza e il senso della realtà.
Potremmo dire che una volta approdato alla filosofia il cammino di Hegel sarà un cammino che lo porterà abbastanza velocemente a esercitare un ruolo egemone nella filosofia e che si basa su alcuni elementi che Hegel ha ben presente sin fa subito:
1.       la prima cosa che ha chiara è che il suo pensiero è concepito come una sorta di critica all'idealismo, ma soprattutto dei significati che l'idealismo aveva assunto dopo Kant e quindi una critica che dovrebbe dovuto portare al compimento dell'idealismo in quanto tale, indicando che l’idealismo non aveva risolto i problemi che si ponevano alla sua origine, ovvero quell'indagine che era sorta con Kant, volta alla ricerca dei limiti dell'intelletto e della ragione, vedremo che Hegel non ha dubbi e ritiene che la ragione umana debba rifondare la metafisica
2.       necessità di porre un pensiero di superare i limiti posti da Kant alla conoscenza che come sappiamo riguardavano il mondo fenomenico
Certo l’idealismo ha avuto il merito di cercarlo questo fondamento, prima nell’io puro di Ficthe e poi nell’assoluto di Schelling, superiore al predecessore perché era riuscito a concepire un fondamento che riuscisse a legare il pensiero all’essere (ovvero la realtà ontologica). Questo è molto importante perché per Hegel cercare il fondamento significa cercare la dimensione in cui le componenti del reale esaminando se stesse (ovvero esaminandosi dal punto di vista della dimensione naturale ovvero nella dimensione dell’essere ontologico) si possono scoprire come le parti necessarie di un unico processo razionale, ovvero che l’essere e il pensiero non siano nient’altro che l’espressione di un unico processo di natura razionale che rappresenta il motore che anima, caratterizza e fa evolvere sia l’attività di pensiero sia l’essere e la realtà. E proprio nell’identità di questo motore, che poi sarà il processo dialettico, Hegel troverà il fondamento.
Per riuscire in qualche modo a superare il dualismo e trovare un fondamento migliore rispetto ai precedenti occorre, dice Hegel, compiere tre passaggi:
1.       bisogna superare ugni dualismo tra sfera soggettiva e sfera oggettiva, ecco perché nel 1801 “Differenza dei sistemi della filosofia di Ficthe e di Schelling” sembra prendere partito a favore di Schelling, perché lui più di Ficthe aveva superato questo dualismo nell’assoluto
2.       concepire questo fondamento non come una realtà data ma come un processo dinamico, ovvero che ci concepisca questo fondamento nel significato più proprio della parola spirito cioè attività e quindi qualcosa che non cessa e non può giungere a un’entità sostanziale fissa e data una volta per tutte
3.       infine bisogna concepire questo processo essenzialmente come un produrre costante e compito di questo processo che in qualche modo coincide con la legge che governa sia pensiero che realtà è quello di produrre pensieri in un caso e enti nell’altro
Ora anche Hegel pensa il proprio sistema nella dimensione della totalità, se no non sarebbe un sistema, ovvero come un pensiero totale che giustifichi ogni realtà, ed ecco perché anche per lui esiste una priorità assiologia dell’infinito rispetto al finito, perché il finito è sempre qualcosa di specifico e mera manifestazione e momento necessario dell’infinito, quindi ente finito trova senso e giustificazione nella dimensione e nella razionalità dell’infinito. Ecco perché anche in Hegel si rischia di cadere nel monismo panteistico che aveva caratterizzato il pensiero di Spinoza, la differenza sta nel fatto che mentre per Spinoza la sostanza è un qualcosa di dato per lui l’assoluto è un risultato (come dirà nell’introduzione della fenomenologia dello spirito), non è qualcosa di dato ma che costantemente evolve e si compie.
Ora chiaramente questa totalità vuole spiegare come le leggi che governano il mondo della natura siano le stesse che governano il mondo che governa il mondo dei pensieri; ma qui ci troviamo di fronte a un fenomeno classico della filosofia che già Parmedine aveva indicato, ovvero che la figura dell’essere coincide con la figura del pensare, perché se ciò non fosse vero noi non potremmo neanche pensarlo l’essere convinti invece di colglierlo, perché se ci fosse eterogeneità come potremmo essere sicuri che quando pensiamo a qualcosa che riguarda la realtà effettivamente stiamo pensando qualcosa di identico.
Quindi si dovrà concepire un processo di tipo razionale che si ponga come fondamento, legge, motore e senso sia della realtà oggettiva che di quella soggettiva, un processo che quindi sia idealista, in quanto concepisce la realtà come produzione da parte di un soggetto, ma anche realista, ovvero la realtà come qualcosa di dato assolutamente incommensurabile con la dimensione dell’idea e della ragione.
Quindi la realtà sarà intesa come spirito, ma come uno spirito che dentro di se mantiene entrambe la manifestazioni della realtà, ovvero i pensieri e gli oggetti.
Abbiamo detto che lo spirito è questa legge quindi lo spirito è essenzialmente auto comprensione costante di se stesso, ovvero è attività razionale attraverso la quale lo spirito coglie se stesso come attività spirituale e razionale che governa entrambe le due dimensioni. Ora è chiaro che a questo punto se lo spirito coincide con l’assoluto e lo spirito è questo vuol dire che esistono due strade in cui si può cogliere la determinazione all’assoluto:
1.       seguendo lo sviluppo della natura
2.       seguendo lo sviluppo del pensiero, ovvero dell’attività soggettiva
Questa attività che deve cogliere questo spirito assoluto deve seguire la stessa legge che governa le realtà, ovvero deve strutturarsi secondo le caratteristiche proprie di questo processo evolutivo di tipo razionale che rappresenta la ragione del tutto e il senso del tutto; ecco perché la dialettica, secondo Hegel coincide con questo principio che governa ogni cosa, è, un pò come per come per Eraclito, sia la legge che governa ogni cosa sia il pensiero attraverso il quale noi cogliamo questa legge. E come vedremo ci sarà nella nostra considerazione della realtà una dialettica che si occuperà del mondo naturale, ovvero di come si evolve la natura storicamente in base a questo processo di natura dialettica, sia dialettica del mondo storico, perché questa legge riguarda anche l’evoluzione delle istituzioni politiche e umane. Quindi tutto nella realtà segue questo andamento e deve essere affrontato attraverso lo strumento dialettico, ecco perche si parla di storicismo hegeliano.

Ora si tratta di capire cosa sia questa dialettica, questo auto articolarsi della ragione, naturalmente anch’esso è composta da tre momenti (che per Fichte erano tesi, antitesi e sintesi), però l’elemento centrale nel processo di natura dialettica è l’elemento della negazione perché il primo momento, che è quello della determinazione è  quello in cui

Dicevamo che la dialettica è lo strumento di La regola che ci permette di interpretare la realtà, ora è possibile interpretare la realtà attraverso la dialettica perché anche la realtà esprime nel suo evolversi sia dal punto di vista naturale che dal punto di vista storico esprime la stessa struttura dialettica, ovvero anche la realtà è strutturata è strutturata in modo dialettico.
Questa auto articolazione della realtà, che è il processo dialettico, è composta da tre momenti (che per Fichte erano tesi, antitesi e sintesi), in realtà Hegel non me li chiama così ma parla di un altro processo dialettico che si basa sul concetto di negazione:
1.       il primo momento è quello della determinazione o dell’in sé, il cui una cosa si considera in sé, nella suo determinazione e in che cosa è; per esempio il bene in sé, ovvero il bene in quanto determinazione del bene, solo che, come già diceva Spinoza, omins determinaztio est negatio infatti la determinazione comporta già in sé il secondo momento
2.       che è quello della negazione o del per sé o dell’uscita della cosa (nel senso della cosa che esce dall’in sé e guarda cosa ci sta fuori), infatti determinare una cosa significa negare tutto le cose che questa cosa non era; ecco che il momento della determinazione comporta già in sé il momento della negazione; per esempio la negazione del bene che in questo caso è il male. Questo momento però, come il primo, è una momento astratto perché sono momenti nei quali le cose sono considerate come non legate tra di loro, sono irrelate, ma sono considerate in modo paratattico, separate le une dalle altre. Perciò è un momento astratto perché non tiene conto dell'obiettivo di trovare qualcosa che rappresenti l'unificazione di queste cose, ovvero considerare come queste cose in qualche modo, laddove si connettono in modo dialettico, ci permettono di recuperare quella che era la determinazione iniziale ma a un livello superiore,
3.       ecco perché il terzo momento è quello della negazione della negazione o dell’in sé per sé. Ora è chiaro che la doppia negazione afferma, quindi ci porterebbe a riconsiderare il primo momento, ma secondo Hegel quello che si recupera nel terzo momento è una determinazione che contiene in sé anche la negazione; ritornando all’esempio di prima si arriva a concludere la virtù in quanto è un bene che sa che esiste il male e che quindi nasce dalla regressione del male. Come vedremo questo concetto, che sarà chiamato da Hegel “Hauf Emul”, corrisponde a un togliere ma che allo stesso tempo mantiene, ovvero nega ma nello stesso tempo recupera ciò che ha negato all'interno della nuovo posizione che si ottiene. Questo è l'unico momento speculativo e della ragione, perché è il momento della dialettica, infatti per Hegel è il momento supremo della conoscenza, speculativo e razionale.
A questo punto compito della filosofia sarà quello di indagare attraverso il processo di natura dialettica la realtà e comprendere le strutture razionali che governano di un mondo, infatti il compito della filosofia non è quello di creare il mondo ma ha il compito di comprenderlo e nei “Lineamenti della filosofia del diritto” Hegel esprime questo compito della filosofia attraverso la metafora della nottola di Minerva.
Lettura “La nottola di minerva”
La filosofia è quello strumento che attraverso il pensiero avrà il compito di individuare l'essenza di questo mondo reale che si rivelerà come razionale e come pensiero, il pensiero della filosofia è quello che ti permette di scoprire come la realtà dietro la sua apparenza fenomenica si presenti essenzialmente con una struttura razionale e quindi come pensiero. La nottola di Minerva, che poi secondo lui è un gufo, è come la filosofia che può alzarsi in volo solo sul far della sera, dopo che il giorno è servito per costruire la realtà.

Le fenomenologia dello spirito
Hegel a questo punto diventa famoso coro della prima opera che scrive nel 1807, che è la “Fenomenologia dello spirito”, la quale si presenta come una sorta di narrazione filosofica perché in questa Hegel racconta il manifestarsi dello spirito nelle tappe dello sviluppo, caratterizzato da un processo di natura dialettica secondo le tre figure essenziali della dialettica.
Questo viaggio dello spirito secondo alcuni ha alcune caratteristiche di quegli che sono definiti i romanzi di formazione e in questo caso il soggetto è la coscienza del soggetto che si fa spirito e riconoscendosi come il spirito diventa sapere assoluto.
Ma la parte più famoso della fenomenologia è una pagina che Hegel scrive nell’introduzione, nella quale identifica quali sono i limiti della filosofia di Schelling e in particolare identifica questi limiti della concezione di infinito e di assoluto.
Lettura “Per quello che riguarda il contenuto”
Hegel è un idealista  e quindi per lui il contenuto non è un elemento essenziale, ma in realtà per Hegel è impossibile scindere la forma e il contenuto perché non sono nient'altro due elementi di una medesima realtà, mentre Schelling aveva puntato solo sulla forma senza considerare i contenuti.
Hegel poi fa riferimento a quelli che raccolgono tutto il materiale e ritengono che su questo materiale raccolto quella che secondo loro è la scienza.
Ora questa fondazione si basa sulla ricerca di un principio unico, sia per Hegel che per Schelling, solo che questo unico non tiene conto di questi contenuti differenti ma in un certo senso viene concepita come un uno e identico che raccoglie queste cose trasformandole immediatamente in un uno e identico, non tenendo più conto delle differenze. Questo uno viene quindi concepito a priori e attraverso questa identità dell'assoluto si unificano indistintamente i molteplici contenuti che possono farne parte; diverso è invece considerare l’uno non come qualcosa che sin da prima e a cui poi si sussume, ma come qualcosa che emerge dalla considerazione delle differenze delle cose, quindi non una unità precedente che annulli le differenze ma una unità successivo che rappresenti attraverso la negazione delle differenze di un mantenimento delle differenze stesse. Quindi la prima concezione (di Schelling) è una concezione monocromatica perché riduce il tutto a uno stesso colore e non tiene conto delle molteplici differenze cromatiche che la realtà presenta, anzi le annulla in una sé; questo formalismo presenta l’unificazione come l’assoluto (riferimento a Schelling). Questa unificazione che viene compiuta dall'assoluto è una unificazione che riduce tutte le differenze in questa unica identità, mentre l'assoluto deve essere qualcosa che si afferma come necessaria posizione della negazione delle differenze, negazione che si traduce nell'individuazione nella policromia delle differenze di qualcosa di universale. Gabellare questo assoluto, che Hegel presenta con una la metafora come la notte in cui tutte le vacche sono nere, è il voler rappresentare lo spirito attraverso la conoscenza fatua; perché così come sappiamo che in realtà non tutte le vacche sono nere così in questo assoluto la mancanza di differenze cromatiche è determinata proprio dalla mancanza di conoscenza piuttosto che non da una conoscenza adeguata.

Ora è chiaro che si tratterà di vedere in che cosa consiste l'assoluto, o il vero che esprime l'assoluto, e andiamo a vedere come, sempre nell’introduzione alla fenomenologia dello spirito, Hegel presenta la sua concezione di vero, che è diversa da una vero che precede le diverse determinazioni che si affermano così come era assoluto di scena in Schelling, ma un vero che vuole essere interezza ma che sa che questa non è una cosa data una volta per tutte ma è un processo.
Lettura “Il vero e l’intero”
L’assoluto non è qualcosa di statico, è qualcosa di dinamico, di dialettico, che si afferma nel suo farsi costantemente; l'assoluto non è un dato ma è un risultato che emerge da un determinato processo (quasi come un tentativo di unificare Parmenide e Eraclito, un principio unitario che però si presenta come qualcosa di dinamico). La legge dialettica quindi non cambia mai ma l'assoluto che è qualcosa che si fa attraverso questa legge  è qualcosa di proteiforme, l'assoluto infatti si presenta in tutte le sembianze del reale che non sono nient'altro che la manifestazione di questa razionalità spirituale che l'assoluto è.
Sembra contraddittorio concepire l’assoluto come un risultato perché in realtà se è un processo non è ancora compiuto, ma un assoluto non compiuto sembra una contraddizione interna, ma in realtà se tu rifletti su che cosa è l'assoluto non è una sostanza ma è una legge che governa ti accorgi che invece che si può presentare in questo modo.
L’assoluto di Schelling, secondo Hegel, funziona secondo questa concezione dell'universale, ovvero quando dico “tutti gli animali” per Hegel non ho fatto una zoologia perché se dico “tutti gli animali” perdo le diverse caratteristiche che sono contenute nei diversi animali e quindi non dico più di niente sul mondo animale, ecco perché l'assoluto deve essere un risultato perché il risultato è l'universalità della molteplicità delle differenze che in esso sono contenute e poiché che sappiamo che nella realtà, che è qualcosa di dinamico, nulla rimane mai così come (basti pensare alle innumerevoli nuove specie) si capisce ancora di più perché l'assoluto è qualcosa che sempre divide e consiste con quella legge che determina sempre il progresso.
Ora l'assoluto di Schelling è un assoluto che elimina tutte le differenze mentre l'assoluto di Hegel è un assoluto che togliere la differenza e quindi gli unifica ma gli unifica sapendo che queste differenze di specie esistono.

La fenomenologia dello spirito sarà proprio la storia di questo evolversi dello spirito, che coincide per Hegel con dall'assoluto, nelle sue tappe di sviluppo, anzi della coscienza, che è essenzialmente attività spirituale, nel suo divenire spirito e mostrarsi essenzialmente come sapere assoluto. Quindi potremmo dire che la ricerca filosofica si occupa della verità, dell'assoluto e vuole dare un fondamento ad ogni conoscenza e si pone come una spiegazione globale; ma la verità non si acquisisce mai unicamente attraverso i fenomeni ma si acquisisce comprendendo la totalità, tale totalità non è un processo statico ma è un processo dinamico, quindi non è qualcosa di dato ma è qualcosa che divide, e si può risiedere solo alla sfida della processo con il sapere assoluto.
Tale risultato non è qualcosa che si pone secondo un movimento lineare ma secondo un momento che potrebbe essere definito circolare, ma una circolarità che non le ritorna mai esattamente al punto di partenza ma si evolve costantemente, ecco perché la figura che meglio esprime la concezione dialettica di Hegel è la spirale. Ovvero come vedremo la coscienza, che è la protagonista di questo romanzo di formazione che e la fenomenologia dello spirito, la verità è qualcosa che si realizza perché al termine del processo scopre che cos'è la propria razionalità; quindi la fenomenologia ha il compito di mostrare il divenire della coscienza in relazione con la realtà, perché la stessa natura dialettica che riguarda l'attività di coscienza e conoscitiva della soggetto si esplica anche dell'evoluzione del reale.
Abbiamo detto che questo divenire si compie in sei tappe, che sono le tappe di sviluppo dello spirito:
1.       conoscenza immediata
2.       autocoscienza
3.       ragione
4.       spirito
5.       religione
6.       sapere assoluto
Hegel spiega questa evoluzione della coscienza perché la fenomenologia dello spirito è un'opera propedeutica, ovvero utile alla comprensione del sistema, che sarà quello in cui consisterà effettivamente la filosofia hegeliana, ovvero solo quando la coscienza è diventata spirito può in qualche modo rendersi conto di essere parte e soprattutto comprendere anche il sistema. Ognuna di una di queste tappe, come vedremo, si scandisce al proprio interno naturalmente attraverso un processo di tipo dialettico e quindi attraverso figure che si evolvono in modo triplice, scandite da tre momenti, perché come vedremo ogni punto che si raggiungerà si dimostrerà in adeguato e dovrà essere negato il the qualcosa di successivo; questo vale all'interno delle figure ma anche tra le figure tra di loro. Da ciò capiamo che sono sei figure perché il realtà solo due riflette, le prime tre sono quelle della formazione della coscienza che diventa ragione, mentre le altre tre riguardano già la struttura del sistema, ovvero il muoversi della coscienza all'interno della struttura del sistema. Dialettico significa quindi negazione ma il tenente della figura precedente, perché avrà il compito di recuperare quello che si è negato a un livello superiore.

Partiamo quindi dalla prima figura della conoscenza immediata, ovvero la conoscenza della sua immediatezza, la coscienza come attività di coscienza. La coscienza della sua immediatezza si esprime nella sua prima figura come certezza sensibile, il particolare appare quindi nella sua evidenza assoluta come stimolazione percettiva. Una verità che però sembra una certezza immediata ma al suo interno si riscontra un livello di auto contraddizione, perché alla fine, dice Hegel, ogni esperienza sensibile si traduce in un qui e ora, anzi in un qui ed ora in cui c'è un questi che percepisce una questo (c'è una coscienza che percepisce qualcosa). Quindi ciò che sembra assolutamente immediato in realtà non è immediato ma è già frutto di una mediazione universalizzante, secondo la quale ogni “questo” è oggetto e ogni “questi” è coscienza. Quindi un tentativo di dare anche una unità a qualcosa che si presenta come molteplice, perché il molteplici sono le stimolazione che vengono dall'esperto e infinitamente molteplici sono le percezioni che io ho. Esempio c'è un soggetto che incontra un albero e avviene che questo soggetto incontra una molteplicità di percezione che solo anche una pluralità di atti percettivi, ecco che quindi questa figura della certezza sensibile che vorrebbe rappresentare l'immediata relazione con l'oggetto si perde e bisogna passare alla seconda; quindi si nega questa certezza immediata e si passa alla seconda figura che è appunto quella dell’percezione ovvero l'unificazione di queste molteplicità che mi porta a ritenere di percepire una cosa quando vide realtà ho molteplici stimolazione.
Ma qui sorge un altro problema ovvero quello di stabilire dove sta l'unità e dove sta la molteplicità, l'unità sta dell'oggetto o del soggetto? E qui ci si trova di fronte a una ampas che si deve negare per arrivare alla terza figura, ovvero il fenomeno, ovvero percepire l'oggetto essenzialmente come una fenomeno, ovvero come la manifestazione dell'oggetto che è prodotta da una serie di forze e leggi, che governano il modo presentarsi del fenomeno che inizialmente noi pensavamo fossero dell'oggetto che in realtà ci accorgiamo solo della soggetto (e qui c'è tutto Kant). E’ il fenomeno che si presenta in modo tale da poter essere conosciuto sensibilmente dalla soggetto in base alle leggi che l'esperienza sensibile che solo le forme dell'intuizione pura.
Quindi ecco che siamo del terzo momento, definito della fenomeno o dell'intelletto, perché la coscienza scopre che in base alle sue leggi che conosce l'oggetto, si scopre i legislatrice e potremmo dire che la coscienza diventa consapevole di essere un insieme di leggi che governano il modo di presentarsi dei fenomeni. Ora è chiaro che una coscienza cosciente di sé stessa è una autocoscienza, ed ecco perché siamo già passati alla seconda figura della fenomenologia dello spirito.

La coscienza diventata cosciente di sé stessa è una autocoscienza, naturalmente anche l'autocoscienza imparerà a capire essenzialmente che cosa è attraverso un processo composto tre momenti.
Il primo momento è quello dell’autocoscienza appetitiva o indipendente, ovvero una autocoscienza che tende a rendere a qualcosa, infatti l'autocoscienza immediatamente capisce di essere lei ciò che domina e quindi tende ad appropriarsi e a comprendere le cose, ovvero a togliere quella alterità rispetto alle cose e ha i fenomeni, l'oggetto che domina attraverso la sua attività legislativa c'è deve essere conquistato, ma in questa attività si accorge che esistono altre autocoscienze che vogliono fare la stessa cosa, e quindi indirizza ad entrare in conflitto con queste, ma allo stesso tempo scoprire che esistono altre autocoscienze rappresentava una certificazione della validità di se stessa come una autocoscienza. Ma da questo conflitto che è interno alla coscienza ed esterno si arriva alla seconda figura della opposizione servo-padrone.

Abbiamo detto che si verifica questo conflitto per il dominio sulla realtà, per rendersi indipendenti dalla relazione nei confronti della realtà oggettiva, quindi conquistare l'oggetto significa far sì che l'oggetto non  condizioni più il nostro modo di essere coscienza, ovvero di conoscere il modo. Nasce da questo scontro con la coscienza vittoriosa, che diventerà l'autocoscienza padrona, e una coscienza sconfitta, che l'autocoscienza serva; ora questo conflitto in realtà per Hegel è un conflitto che avviene anche all'interno della stessa coscienza. Anche la singola autocoscienza in questo conflitto si scinde il coscienza padrona e coscienza serva.
Lettura “La relazione servo padrone”
Innanzitutto capiamo che l'autocoscienza diventa consapevole di se stessa solo quando è uscita dall’in sé e avere incontrato le altre autocoscienze diventa autocoscienza in sé e per sé, perché le altre autocoscienze lo riconoscono.
La differenza che si deve stabilire tra coscienza padrona e coscienza serva è che la coscienza padrona è quella che in qualche modo si rapporta al suo per sé attraverso la mediazione di una coscienza, che è coscienza serva, che è essenzialmente per sé perché si rapporta con il mondo oggettivo; ovvero la coscienza padrona, che e tale della misura in cui non vuole più relazionarsi con il mondo oggettivo, realizzata tale uscita da sé attraverso la coscienza serva perché questo rapporto è un rapporto che rende la coscienza serva dipendente dalla sua relazione con il mondo fenomenico, ed è anche questo il motivo per cui la coscienza padrona è padrona perché è indipendente nei confronti delle relazioni con il mondo, ovvero è una coscienza che arriva alla propria verità indipendentemente da far ricorso all'esperienza, mentre la coscienza serva corrisponda quella coscienza che in qualche modo è costretta per giungere alla propria conoscenza a una dipendenza diretta dal mondo oggettivo.
Ecco perché la relazione servo coscienza in qualche modo è potenzialmente spiegabile secondo Hegel anche attraverso la metafora della società feudale, la coscienza padrona e infatti il signore, il quale è signore perché non lavora utilizzando i servi all'interno della suo feudo per realizzarsi con il mondo oggettivo. Quindi la coscienza padrona si potrebbe anche definire come il momento del godimento mentre la coscienza serva è il momento del lavoro.
Bisogna anche dire che secondo Hegel questa relazione vale anche per la realtà storica.
Anche il servo in qualche modo cerca di togliere/negare la cosa, solo che non può distruggere la realtà, cerca di eliminare questa dipendenza ma il mondo fenomenico si può solamente trasformare, ecco che compito del servo incomincia ad essere, attraverso il lavoro, quello di trasformare la realtà. Questa capacità di trasformare la realtà appartiene solo alla coscienza serva perché la coscienza padrona ha abbandonato questa possibilità, l'unica relazione che ha con il mondo è quella di fruizione.
Quindi se è vero che la coscienza apparentemente padrona in realtà si rivela come una coscienza serva, nel senso di impotente, al contrario la coscienza serva ad un certo punto diventerà libera e a sua volta anche lei signora. A differenza della coscienza inizialmente padrona, che è apparentemente indipendente, la coscienza liberata, attraverso il lavoro della negazione di se stessa, diventa effettivamente di indipendente.
La coscienza serva però è tale perché ha sperimentato in sé la negazione, è diventata serva perché ha avuto paura del conflitto, di perdersi e di liberarsi dalla relazione con il mondo fenomenico; una paura che si traduce della paura della morte, quindi di perdere questa sua caratteristica di coscienza e quindi si è affidata all'oggetto, il luogo nel quale le cose si prendono. Questa relazione però attraverso il lavoro verrà meno e si libererà, ecco anche perché il terzo momento è il momento della liberazione dell'autocoscienza serva, la quale è l'unica che si può liberare perché è l'unica che ha subito il secondo momento della negazione di essere serva. È logico che la coscienza padrona è anche una coscienza che coincide con il primo momento, ovvero quello della appetizione e dell'appropriazione.
Mentre il primo momento è quello della coscienza appetitiva e rappresenta signore, è chiaro che il secondo momento, ovvero quello del conflitto e della negazione, sembra che l'essenza della coscienza serva sia quella del rapporto inessenziale con il mondo fenomenico; però questo in realtà è un momento astratto perché manca il momento necessario della relazione con il mondo, la quale però non deve più basarsi su una sostanziale dipendenza ma in una trasformazione di questa dipendenza in uno dominio.
Il lavoro è appetito trattenuto e quindi dilazionare il momento del godimento per arrivare a una maggiore dominio della realtà, perché il godimento una volta esaurito non lascia nulla il lavoro si.
Il lavoro da forma alle cose, ma formare significa capire che il mondo si sottopone alle leggi che io gli pongo quando lo penso, ovvero le stesse leggi razionali e dialettiche attraverso le quali io penso; quindi formare significa plasmare ciò che ci arriva dalla realtà esterna secondo i criteri che la porteranno ad essere ciò che noi vogliamo che sia, quindi siamo noi che dominiamo il mondo e non è il mondo che dominano noi. Ecco perché formare significa liberarsi, infatti la coscienza serva in base alle leggi che sono del suo intelletto si accorge che domina la realtà e non viceversa.
Naturalmente anche la liberazione della coscienza avviene in modo mediato, in particolare in tre momenti che Hegel associa a tre movimenti di filosofici, ovvero:
1.       stoicismo
2.       scetticismo
3.       pensiero cristiano o coscienza infelice
Come vedremo lo stoicismo rappresenta la liberazione in sé, mentre lo scetticismo rappresenta ciò che è fuori di sé e infine la coscienza infelice si relazione a questo rapporto tra essenzialità e inessenzialità che è caratteristica del pensiero cristiano (ovvero ha a che fare con il trascendente assoluto ma anche con il mondo reale).
Lettura “Stoicismo e scetticismo”
La coscienza è una essenza pensante e tutto è buono e vero della misura in cui si commisura a questa essenza della coscienza di essere pensante. Ora questa molteplicità che caratterizza la relazione tra la coscienza serva con il mondo fenomenico viene vissuto nell'elemento nella negazione di tale differenza, affermando che nella coscienza del pensiero io sono libero. Chiaramente però non siamo solamente pensiero e quindi bisogna uscire da questo rapporto immediato con il pensiero e si arriva quindi al secondo momento nel quale si nega non solamente il condizionamento della realtà su dire ma la realtà stessa, questo è lo scetticismo, negare che il reale sia reale e sospendere ogni giudizio perché non sono mai se quello che sto giudicando esiste veramente; sparisce anche la relazione che la coscienza ha con il mondo oggettivo.
Di questa negazione la coscienza scettica fa la propria verità, ma in realtà questo non solamente non funziona ma diventa anche impossibile e paradossale perché sappiamo che lo scetticismo è l'unico movimento che si auto confuta da solo, perché se nega tutto deve negare anche se stesso.
Poiché lo scettico non può uscire dalla realtà in modo definitivo perché abita la realtà la coscienza scettica apre a una dimensione di infelicità, ovvero da una parte una coscienza che nega il mondo e dall'altra possiede una parte che il soggiornando nel mondo non può essere mai negata.
Ci troviamo quindi in questa cessione che ci fa passare alla terzo momento che è quello del pensiero cristiano, il pensiero doppio per eccellenza, che ha formulato una spiegazione della reale suddividendo la realtà in due mondi, uno spirituale che non cambia mai ed è quindi affidabile, e invece un mondo trasportabile che è la realtà; quindi la coscienza infelice è la coscienza divisa infatti nello stesso tempo è coscienza trasmutabile e intrasmutabile.
Deve quindi in qualche modo liberarsi da se stessa in modo tale da arrivare all'essenziale, ovvero al non trasportabile, quindi compito della coscienza infelice è quello di muoversi dal mondo della trasmutabilità a quello dell’intrasmutabilità e dell’inessanzialità. Anche questo viene compiuto in tre momenti che fanno riferimento a tre atteggiamenti del cristiano, ovvero:
1.       pensiero devoto, ovvero quel pensiero che si relaziona alla verità in trasmutabile unicamente attraverso una relazione di pensiero e quindi di tipo immediato
2.       il secondo momento è quello della coscienza pia, in cui la coscienza non cerca più Dio in Dio a priori e lo cerca fuori di sé nella realtà, solo che in questo momento capita all'autocoscienza quello che era capitato agli apostoli che si sono recati al sepolcro dopo la resurrezione, ovvero sono andati al sepolcro e l'hanno trovato vuoto
3.       si passa quindi al terzo momento che è quello del dolore (dell’in sé per sé) del quale ritorna dentro di se per cercare Dio (nel senso che cerca l’intrasmutabile) dove lo troverà sapendo però che esiste un mondo e lo troverà il secco di legge intrasmutabile e necessaria che si applica al mondo in quanto tale.
Ma a questo punto all'autocoscienza è già diventata qualcos'altro e ha già scoperto di non essere più autocoscienza ma di essere ragione, la ragione nasce proprio nel momento in cui la coscienza acquisisce la certezza di essere ogni realtà, ovvero di essere sia pensiero sia un mondo, perché il mondo funziona conformandosi alle leggi del pensiero, ovvero quella della razionalità.

A questo punto la ragione scopre un nuovo modo perché è un mondo che sento il suo in quanto corrisponde alle stesse leggi che sono proprie della ragione, ovvero alla razionalità. Potremmo dire che in questo momento Hegel ha raggiunto l'idealismo ma a differenza dell'idealismo il suo idealismo non è un punto di arrivo fermo, non hai nient'altro che un dispositivo processuale che si afferma come qualcosa che diviene, naturalmente in tre momenti in base a un rapporto dialettico. In pratica scopre che neanche la razionalità è qualcosa di statico ma è qualcosa di dinamico, questi tre momenti, con i quali la ragione diventa consapevole di se stessa, sono:
1.       ragione osservatrice, che osserva la natura
2.       ragione agente, che agisce
3.       ragione e leggi sull'attrice, che dalle leggi
Anche in questo caso il primo movimento è il momento più che immediato, infatti è la ragione che osservando la realtà naturale cerca e trova se stessa dell'oggetto immediato, si potrebbe dire che la coscienza osservatrice coincide con la scienza della natura che diventa consapevole del mondo ma in cui tale consapevolezza del mondo naturale non lo si risolve in una osservazione empirica, perché questa osservazione vuole in qualche modo scoprire le leggi che governano la natura. Tuttavia entra in crisi quando ritenendo che la natura si muova in base a leggi di azione e reazione meccanica si trova di fronte il mondo organico, sembra che ci sia un principio di natura teleologica, che sembra esprimere una finalità e quindi una razionalità e una libertà. Quindi anche il mondo naturale sembra muoversi in modo logico, ecco che allora la coscienza rientra in se stessa e cerca di analizzare quali sono le leggi logiche che vi permettono di guardare la natura, ovvero applica anche a se la stessa indagine di tipo esperienziale che applica sul mondo, quindi osserva se stessa così come si osserva al mondo, ed ecco perché diventa psicologia, l'indagine della propria psiche secondo quali atti che in qualche modo osserva nella natura.

La ragione e quindi, osservando la natura, capisce che in essa si esprime la razionalità e rientra dentro se stessa e cerca di analizzare il proprio lato irrazionale ma in un modo ancora astratto, considerandoli come atti attraverso i quali l'intelletto giovi organizziamo l'esperienza. L'elemento astratto e negativo della psicologia è quello di considerare questi atti come isolati, senza aggiungere al momento speculativo che per Hegel coincide con l'unità e la sintesi. Questo aspetto essenzialmente astratto e paradossale è dimostrato da Hegel attraverso due scienze che si erano affermate all'inizio dell'800, ovvero la fisiognomica e la frenologia, la prima stabilisce l'intelligenza delle persone a seconda a casa di fisiognomici, mentre la seconda si basava sullo studio della conformazione del cranio per stabilire quanto una persona fosse intelligente. Questo per Hegel è assurdo perché sarebbe come affermare l'equivalenza dell'essere o spirito con un osso. È chiaro che la psicologia, che rappresenta l'ultimo momento della ragione che osserva la natura osservando la natura propria dell'uomo, rappresenta il fallimento di questo tentativo quindi si deve uscire e si arriva al secondo momento, ovvero la ragione che agisce nella realtà, una ragione che agisce prima dal punto di vista individuale per cercare di raggiungere l'unità spirituale che sarà l'ultima fase.
Il primo momento della ragione che agisce è che cerca la propria felicità nel piacere immediato ed è chiaro che questo primo è condannato alla frustrazione perché dopo ogni soddisfazione di desiderio ne nasce un altro che richiede di essere soddisfatto e così via ecco che allora si passa alla seconda figura. L’uomo che agisce in base alla legge del proprio cuore e mentre nel primo caso fa come esempio la figura del Don Giovanni, della secondo fa altri due esempi, ovvero quello di Schiller e Roussoe, infatti questa è la figura dell'uomo che crede di appropriarsi del proprio destino attraverso una scelta individuale che pone il proprio cuore come il giudice infallibile del bene e del male. Questo per Hegel rappresenta un delirio di presunzione perché in realtà non mi rendo conto del fatto che esiste un mondo che fa sorgere accadimenti che mi impediscono la realizzazione della virtù che cerco, ed ecco che quindi si subentra alla terzo momento che è quello dell'uomo di virtù, che coincide con Robespierre, che applica la concezione teoretica di Roussoe, l'uomo che quindi decide di contrapporsi al mondo e che attraverso la propria incorruttibilità si erge a paladino della virtù, solo che questo che dovrebbe essere un combattimento con il mondo e la realtà è un finto combattimento, perché non dallo può combattere effettivamente il mondo tutto al più diventa una dispositivo per contrastare il corso del mondo. Quindi anche in questo caso la ragione che agisce nella realtà va incontro a un fallimento, ecco che quindi anche la ragione che agisce nella realtà deve superarsi e negarsi, si passa quindi alla terza figura della ragione, la ragione dell'individualità concreta (nel quale la ragione ritorna in sé ha un livello superiore perché sa che esiste il mondo).
Anche questa figura si compone di tre momenti, il primo è caratterizzato dall'uomo che opera nel regno animale e dello spirito, ovvero che cerca di intervenire all'interno della corso della mondo cercando attraverso le proprie doti naturali (???), cercando di caratterizzarsi come tentativo di rispondere alle particolari esigenze naturali ed il mondo gli pone di fronte, ed è per questo che è un momento ancora inadeguato perché dove si basa sulla considerazione dell'universalità dell'agire e dell'operare in quanto tale, ma ancora si basa sull'opera particolare e concreta attraverso la quale cerco di realizzare una risposta ai problemi che il mondo vi pone davanti. Considerare questa universalità permette di avere un nuovo punto di vista dell'oggettività e dell'operare, un operare che passa attraverso di me ma che inserisce in un operare comune e universale. Questa universalità si coglie quando il mio operare in direzione degli oggetti e della natura io mette in campo delle leggi, ovvero opero attraverso norme, ecco che quindi siamo già della secondo momento nel quale l'uomo si scopre ragione legislatrice e scopre di ragionare in base delle leggi che sono comuni, solo che ancora all'interno di questa fase l'uomo obbedisce queste leggi dell'operare. Ma non da se è ancora passati al momento in cui la ragione esamina queste leggi e che in qualche modo cerca di relazionarsi con le leggi che avverte dentro di se, questo relazionarsi con la legge quando torna ad operare (una momento contestuale) secondo Hegel rappresenta un elemento che è da superarsi perché non ci permettere l'aspetto essenziale delle leggi, ovvero la loro eternità. Si scopre quindi una ragione che deve capire che la giustificazione del proprio operare si radica in da qualcosa di più profondo che Hegel incomincia a chiamare con il termine di Etos (costume della società e da cui vive); la legge quindi è qualcosa che emerge dall’etos della proprio popolo è la ragione in cui la distanza tra essere e dover essere è stato superato, perché il dover essere coincide con l'essere di quel popolo.
Ma etos è anche uguale spirito per questo questo momento nel quale si scopre che la ragione non è solamente l'individuo ma è qualcosa di comune e, in questo momento la ragione diventa spirito.

Come abbiamo detto la fenomenologia dello spirito non finisce qua che si conclude con dalle figure dello spirito, della ragione e del sapere assoluto, ma bisogna dire che questi sono i tre momenti fondamentali anche del sistema, ed è per questo che possiamo anche tralasciarli.

Il sistema
A questo punto la coscienza ha scoperto di coincidere con il sapere, ma una sapere che non appare come un dato immediato ma come un processo, come una struttura che si autoarticolati, infatti anche il sistema, pur rappresentando la totalità del sapere assoluto, non è una realtà monocromatica e unitaria ma è una realtà processuale, che si struttura in varie figure. Del sistema propriamente Hegel ne parlerà in un'opera, che si intitola “ enciclopedia delle scienze filosofiche e compendio” del 1817, un'enciclopedia che rappresenta la totalità del sapere che si struttura che esso in tre momenti e quindi in tre figure, la prima di queste tre figure è la logica.
Non è un caso che tra queste due opere che abbiamo studiato Hegel descriva un'altra, del 1812, che si intitola “La scienza della logica”, la quale ci permette di capire cosa sia la logica per Hegel. La logica è indiscutibilmente la prima parte del sistema perché rappresenta la base di tutto il sistema, perché proprio attraverso la logica si viene alla comprensione di quello che rappresenta il nucleo del sistema, ovvero la coincidenza tra essere e logos, tra dimensione logica e ontologica, tra essere e il pensiero (come Parmenide). Lo stesso processo fenomenologico aveva introdotto a questa concezione perché aveva affermato che la coscienza dello suo farsi spirito trova come figura più adeguata a quella del sapere assoluto. Ma in una realtà che cosa vuol dire sapere assoluto? Quando sapere può essere definito assoluto? Una sapere assoluto è quello che rappresenta l'universale e il venir meno di quella che è non la distinzione tra certezza e verità, ovvero il sapere assoluto elimina ogni differenza tra certezza intesa come verità soggettiva e verità intesa come dimensione oggettiva. Questo lo scopre quando ogni frammento conoscitivo che ci caratterizza è un elemento di questo sapere assoluto, tutto concorre a questo sapere assoluto. Quando sapere assoluto però ha anch’esso i propri concetti e anche una struttura, quindi ecco che un adeguata comprensione e della sapere assoluto può essere data quanto, prima di ogni cosa, si sia indagata la struttura di questo sapere.
Quindi la logica ha come contenuto il pensiero oggettivo, ma pur da sapere è scientifico della misura in cui dove ha presentato questi concetti come un insieme di nozioni di collegate ma fa rientrare tutte queste nozioni come gli elementi di una concatenazione necessaria che trova la propria giustificazione e la sua origine della legge che governa questo connettersi di tutti gli elementi tra di loro, naturalmente questa legge non può che essere che la legge dialettica.
Abbiamo detto che la logica rappresentava prima parte di questo sapere assoluto, di cui poi la filosofia della natura e la filosofia dello spirito rappresenteranno le fasi successive, ecco che quindi abbiamo già capito quali saranno le tripartizioni del sistema:
1.       logica, l’idea in sé e che si analizza trovando la propria inadeguatezza
2.       quindi uscita dell’idea in sé, filosofia della natura
3.       ritorno in sé, filosofia dello spirito
Ora quando noi pensiamo logica immediatamente ci viene in mente Aristotele e lo stesso Kant aveva detto che per quello che riguarda la logica formale aveva già trovato il suo compimento nell’organum e si intende per logica formale quella che si occupa della struttura del pensiero e quindi dei criteri e delle norme attraverso i quali del possiamo formulare giudizi adeguati e soprattutto una relazione tra i giudizi, che si basa su determinate leggi che sono necessarie quindi indipendenti dalle parole e dalle categorie che noi usiamo.
Ora è chiaro che Hegel ha in mente una logica differente, la logica hegeliana si pone all'aldilà del concetto di organon infatti vuole studiare la struttura dell'intero (del sistema) e quindi naturalmente non c'è solamente la forma ma anche il contenuto, la tesi di fondo è infatti quella secondo la quale essere e pensiero coincidono, ovvero per Hegel è consequenziale che occuparsi di logica voglio dire anche necessariamente dire occuparsi di ontologia. Questo vuole dimostrar, ovvero che le strutture con le quali noi organizziamo i nostri dati che ci fornisce l'esperienza sono soggetti alla stessa legge dialettica alla quale sono soggetti le strutture della realtà; ecco perché proprio nella logica Hegel la metafisica, si potrebbe anche dire che la logica di Hegel è una unione tra la metafisica e la logica di Aristotele.

La logica di Hegel rappresenta alla possibilità che Hegel si dà di poter trattare in un'unica argomentazione la logica e la metafisica e dell'introduzione della “Scienza della logica” Hegel è abbastanza chiaro.
Lettura “Quella che prima si chiamava metafisica”
Hegel identifica nel pensiero di Kant quello che aveva negato alla metafisica di essere una scienza, questo sapere e stato accolto perché si basa essenzialmente sull'osservazione e sull'esperienza, ciò ha determinato l'allontanamento della civiltà dalla metafisica e quindi il sorgere di un popolo privo di metafisica che è come concepire un tempio riccamente ornato (che sono tutte le scienze che si sono affermate) ma privo di quello che è il nucleo essenziale, ovvero il santuario che per Hegel è l'essenza della realtà.
La logica di Hegel vuole essere l'esplicazione di un ragionamento naturalmente dialettico e processuale, teso a dare una definizione di ciò che è più essenziale, ovvero dell'assoluto. Ora abbiamo detto però che la logica hegeliana studia l'idea in sé in una fase ancora astratta (dello suo guardare dentro di sé), ma anche l'idea in sé e per quanto astratta e immediata della realtà non è qualcosa di statico ma è qualcosa che diviene attraverso un processo dialettico che si compone di tre figure la cui stessa denominazione dimostra come per Hegel si tratti di affrontare la scienza della logica l'unione tra ontologia e logica, infatti le tre figure sono: essere, essenza e concetto.
Partiamo quindi dalla prima figura che a sua volta si divide in tre figure: qualità, quantità e misura; partiamo quindi dall'essere come qualità. Si deve partire dall'essere perché è importante il problema dell'inizio, ovvero la riflessione della logica non può che partire dall'idea più generale possibile e l'idea più generale di una cosa che può essere pensata non può che essere dove si pone anche l'origine del pensiero, ovvero essere. Infatti lo sappiamo già da Parmenide che pensare ed essere coincidono perché nulla è pensabile se non come esistente e nulla di ciò che è esistente è tale se non fosse pensabile. Ora naturalmente però essendo l'idea che bisogna affrontare nella sua generalità più assoluta questo essere coincide con l'essere in generale, ovvero l'essere e non è ancora distinto in tanti essere (l'essere prima delle sue determinazioni); si capisce quindi perché la triade fondamentale sarà: essere, nulla e divenire, perché questo essere immediatamente conduce per negazione alla categoria opposta, ovvero quella del nulla, perché il nulla di determinazioni che l’essere in generale è mi costringe a pensare (?), infatti essere e nulla in un certo senso coincidono perché l'essere nella sua assoluta indeterminazione rappresenta il nulla degli enti.
Ora è chiaro che a questo punto bisognerà negare il nulla per affermare una nuova concezione dell'essere che tiene conto in sé anche del nulla, ovvero il divenire, infatti le cose che divengono sono e non sono, sono caratterizzate da un continuo alternarsi di essere e nulla (il divenire alto del bambino significa il suo annullarsi di essere basso); il divenire diventa all'essere tenendo conto della dimensione del nulla e si presenta come la categoria sintetica e media dall'essere al nulla e viceversa, ciò che diviene esce dal nulla ma di vedendo altro rifà di precipitare nel nulla quello che era prima.
Non a caso proprio in questa sezione Hegel le affronta la questione relativa all’hauf emul, perché questo è togliere mantenendo il cui nel momento stesso in cui tolgo una cosa la mantengo all’interno di ciò che nasce nella sua negazione.
Lettura “Quello del togliere e del tolto”
Andiamo a leggere quale definizione della logica. Togliere non significa nullificare, hauf emul significa nello stesso tempo conservare e mantenere sia nello stesso tempo porre fine e far cessare, perché nulla si nega in assoluto perché poi nella totalità riacquista un senso. Il tolto si compie nella riflessione che ciò che viene tolto l'acquisto un valore nel termine che lo sostituisce (per esempio il nulla si riflette, quando viene negato dal divenire, comunque nel divenire e viene mantenuto il mio questa nuova concezione).
Il divenire conduce all'essere determinato, infatti ciò che diviene è determinato, l'essere che si presenta come un qualcosa di diverso da tutte le altre cose, ma dirle qualcosa rappresenta un elemento di finitezza perché definisce quello specifico ente come quel determinato qualcosa, quella che Hegel chiamo finitezza qualitativa, ma la finitezza qualitativa rimanda all'infinità qualitativa, ovvero essere qualcosa nega le infinite cose che non coincidono con quella; quindi ogni ente qualitativamente determinato sia pregiata a tutti gli infiniti enti che non sono lui (questo è il concetto che apre al concetto di infinito). Solo che questa idea di infinito non è l'infinito buono, ovvero quello con il quale si cerca la coincidenza con l'assoluto, anzi Hegel lo definisce come una fuga del finito (è un falso infinito o orizzontale), il concetto di infinito per Hegel non potrà essere lineare ma dovrà essere circolare, quindi compito della filosofia sarà quello di occuparsi di questo vero infinito perché compito della filosofia e occuparsi dell’intero e mai della finitezza perché il realtà il finito è realtà per modo di dire, non è vera realtà, solo l'infinito è reale. Una filosofia che sia autenticamente idealista non conosce il finito come il vero essere ma punta all'infinito vero, assoluto e circolare.

Abbiamo detto che la qualità che diventa quantità della riflessione con il finito e poi si fa misura della relazione di quantità e qualità, permette a Hegel di affrontare la seconda figura che è quella dell'essenza, perché l'essenza è da sempre la manifestazione suprema dell'essere, intendendo per essenza ciò che sta dietro la cosa stessa (chiaramente anche in questo caso non dobbiamo concepire questo ritorno alle senza come un platonismo), anche l'essenza è una tappa e quindi come tale è caratterizzato anch'essa da un processo dialettico, ovvero nell'essenza lui studia le tappe per cui il fondo dell'essere (questo essere alla ricerca dell'essenza) progressivamente prima pare (riflessione), poi appare (fenomeno) quindi si manifesta pienamente (essenza).
Ma dal punto di vista logico la sezione dell'essenza è molto importante perché Hegel affronta la questione relativa ai principi della logica aristotelica (principio d'identità, di non contraddizione e del terzo escluso), naturalmente affronta questi principi criticando l'approccio aristotelico perché considerarli come realtà incommensurabili (ovvero il principio di identità che si oppone al principio di non contraddizione) questi principi sono ancora affrontati in modo intellettualistico che per Hegel significa astratto, ovvero non tengono conto di quello che la ragione speculativa ci permette di realizzare, ovvero l'identità che include le differenze e quindi l'identità della contraddizione e la contraddizione dell'identità, quell'identità di cose che apparentemente si contraddicono, perché fanno parte della reale, invece anche la contraddizione dell'identità perché in realtà nessuna cosa ma identica a se stessa e in un certo senso si contraddice perché diviene, per esempio A è uguale ad A, ma quale A quello di ieri o quello di oggi? Quindi anche dell'identità c'era contraddizione così come nella contraddizione c'è identità perché anche le cose che si negano possono essere recuperate in ciò che nega. Anzi si dovrebbe dire che tutte le cose in se stesse sono contraddittorie perché la legge che governa la dialettica è quella della negazione e della contraddizione, se proprio dovessimo individuare tra l'identità e la contraddizione ciò che esprime meglio la realtà dovremo scegliere la contraddizione, perché esprime questo principio dialettico che governa la realtà.
Un altro aspetto classico è la relazione tra causa ed effetto, ora come sappia Kant aveva dimostrato nella critica della ragion pura che la relazione causa ed effetto è una relazione lineare e necessaria (ogni causa a un effetto che a sua volta e causa di un effetto), quindi questa relazione viene concepita in una dimensione lineare e naturalmente questo può condurre all'infinito, ma nuovamente un infinito lineare. Quindi bisognerà passare da una prospettiva lineare a una prospettiva circolare ciò significa che bisogna passare a un prospettiva che la causa determini l'effetto ma che l'effetto determina anche la propria causa, esempio il bambino è la causa dell'effetto uomo maturo, ma è anche chiaro che l'uomo maturo e a sua volta la causa del bambino perché ha raggiunto la maturità che gli permette di procreare, quindi secondo questa logica è vero che l'effetto deriva dalla sua causa ma anche che la causa deriva dal suo effetto (questo è il processo di autocausazione o di azione reciproca delle cause sugli effetti e degli effetti sulle cause), ma ciò che è causa sui è qualcosa che libero e quindi ci introduce nel concetto di libertà.

Hegel attua l’unificazione tra pensiero ed essere indicando come precursore Spinoza, indicando anche i suoi limiti.
Abbiamo detto che si entrano nel concetto libertà e anche questa parte si divide in tre: soggettività, oggettività e idea; molto importante dalla prima parte perché in questa Hegel affronta le figure fondamentali della logica classica che sono concetto, giudizio e sillogismo. È chiaro che questi verranno affrontati essenzialmente da un punto di vista speculativo e razionale e non da un punto di vista filosofico perché per lui non sono riducibili a mere operazioni mentali, ovvero ne astrazione dei concetti, né di predicazione né di ragionamento sillogistico.
Hegel dice che in queste operazioni dipendono essenzialmente dalla considerazione della relazione secondo cui si pongono universale, singolare e particolare, perché queste sono le forme essenziali della vita del concetto del suo processo fino a diventare idea.
Il primo monumento di questo sviluppo, dice Hegel, non può che essere quello della divaricazione, ovvero il giudizio nella sua considerazione come proposizione speculativa esprime l'individuare nel suo farsi universale, esempio Socrate è barbuto, Socrate è individuale ma barbuto è già universale, in predicato quindi rappresenta una universalizzazione del soggetto perché predicare qualcosa di qualcuno significa farlo rientrare nella classe che contiene quella predicazione.
Secondo questa logica e unendo quella secondo cui poi esiste una reciprocità è vero anche il contrario, ovvero è possibile in qualche modo che la predicazione diventi soggetto e il soggetto diventi predicazione, esempio “la realtà è un processo dinamico” questo secondo Hegel è uguale a “ il un processo dinamico è la realtà”.
I giudizi si dividono in: giudizio dell'essere determinato (giudizio di qualità), il giudizio della riflessione (o giudizio della quantità) e giudizio della necessità (o giudizio della relazione). Come sappiamo dal giudizio si passa al sillogismo, ovvero una forma di ragionamento che si conclude con una necessaria conclusione, ovvero la struttura attraverso la quale i giudizi sono posti in una relazione di tipo necessario tra di loro. Secondo Hegel il sillogismo è molto importante perché rappresenta l'unità di quei tre momenti fondamentali che mediano non passaggio dal concetto nella sua dimensione soggettiva a idea, ovvero universale, singolare e particolare. potremmo dire che universalità, singolarità e particolarità del sillogismo si associano attraverso un procedimento che è anche in questo caso reversibile, cioè l'universale attraverso il particolare si singolarizza ma anche l'individuale attraverso il particolare si universalizza, esempio animale, uomo e l'alunno A: alcuni animali sono uomini, l'alunno A è un uomo perciò l'alunno A è un animale, ma è vero anche il contrario l'alunno A è un uomo, tutti gli uomini sono arrivati perciò l’alunno A è un animale.
Il sillogismo piace molto A Hegel perché è una struttura dialettica e triadica nella cui conclusione vengono ripresi i primi due momenti dicendo qualcosa di più rispetto quello che le premesse contenevano; ecco perché Hegel può dire che il sillogismo rappresenta l'essenza della realtà, tutto il reale è un immenso sillogismo perché si struttura in modo sillogistico e mediato perché nel sillogismo si esprime la razionalizzata reale. Potremmo dire che il sillogismo esprime quella circolarità teleologica che era proprio della realtà perché le premesse si muovono in direzione di un fine come avviene per tutto ciò che accade nella realtà. Ma se tutto è sillogismo e razionalità, l'idea in quanto espressione di tale razionalità rappresenta il fine a cui ogni cosa tende; ecco che l'idea emerge come ciò che rappresenta l'elemento più essenziale anche della natura.

A questo punto siamo nel secondo momento del sistema dello spirito che era la filosofia della natura, ovvero la filosofia dell'idea per sé, dell’idea che esce da se stessa e si riconosce nella natura.
La filosofia della natura è una delle parti più problematica bisogna quindi dire alcune cose essenziali e la filosofia della natura è definita da Hegel l’idea nel suo alienarsi da se stessa, ovvero il manifestarsi dell'idea della natura come primo momento del manifestarsi della razionalità. Questo alienarsi significa la negazione dell'idea, l'idea che nega se stessa e si considera come esterna a se, questo sembra un po' contraddittorio perché la filosofia della natura per la prima realizzazione della manifestarsi dell'idea ma nello stesso tempo è anche la negazione dell'idea. Ora è chiaro che ciò appare contraddittorio nel momento in cui non ci si renda conto del concetto di negazione di Hegel è completamente diverso da quello che intendiamo noi, ovvero togliere mantenendo.
Sicuramente la filosofia della natura è anche importante perché rappresenta il allontanarsi di Hegel rispetto alla tradizione romantica, che aveva rappresentato una parte cospicua del movimento idealista, infatti l'immagine della natura come manifestazione suprema dell'assoluto viene a cadere perché i fenomeni naturali, essendo qualcosa di esterno all'idea, sono qualcosa di accidentale e negativo (non pienamente razionale), ecco perché il sapere della natura non è una sapere speculativo. Questa concezione porta Hegel molto vicino ai positivisti perché anche per lui il sapere sulla natura è una sapere che avviene per accumulazione dell'esperienza in modo essenzialmente empirico. Potremmo dire che lo svolgimento dialettico della natura da luogo a entità individuali considerate come separate tra di loro, infatti è il momento dell'intelletto che considera i fenomeni come distinti l'uno dall'altro e non li considera nella loro unità. È chiaro che e il secondo momento della filosofia dello spirito che si può presentare come momento negativo, ma senza questo momento della redazione non si arriverebbe mai al terzo momento speculativo, perché la questione della filosofia della natura rappresenta lo sfondo su cui emerge poi la storia dello spirito e la filosofia dello spirito (il compimento della sistema hegeliano).

Partiamo quindi dalla filosofia dello spirito, l'ultima parte della sistema, che rappresenta il risultato di quello che già si parlava della fenomenologia dello spirito a cui la coscienza in quanto sapere assoluto tende, ovvero la verità.
Nello spirito si manifesta la circolarità dialettica di questo intero processo ed ecco perché lo spirito e la filosofia ne tratteggia gli aspetti: la massima manifestazione dell'assoluto, allo spirito, e la massima forma del sapere, la filosofia.
Se facciamo riferimento alla triade che abbiamo visto: idea, natura e spirito (filosofia dell'idea, logica, filosofia della natura e infine dello spirito), l'idea rappresenta il mero concetto astratto di sapere mentre lo spirito rappresenta l'autentica attualizzazione di questo possibilità di sapere dell'idea in quanto attua questa possibilità dell'idea dell'interpretazione globale del reale inteso anche come natura. Ecco perché se anche dal punto di vista cronologico la filosofia dello spirito arriva come terza, dal punto di vista assiologico e gnoseologico la filosofia dello spirito si pone come prima sintesi che supera e mantiene i primi due momenti. Ovvero abbiamo detto attualizzazione dell'idea in concetto e proprio per questo lo spirito si caratterizza come l'autentico sapere o sapere assoluto.
Naturalmente se lo spirito rappresenta la massima di questa progettualità di tipo dialettico anche esso si comporrà di un processo diviso in tre figure:
1.       spirito soggettivo, quindi lo spirito in sé come soggetto
2.       spirito oggettivo, spirito fuori di sé che si concretizza nella storia e nelle istituzioni della storia
3.       spirito assoluto, momento del ritorno in da se in cui lo spirito si auto conosce pienamente come principio e verità di tutto
Potremmo dire che i primo momento fanno riferimento al mondo degli uomini della propria soggettività mentre nella secondo momento rappresenta l'azione della soggetto all'interno della realtà e si concretizza in determinate istituzioni mentre il terzo si riferisce al mondo delle attività produttive dell'uomo, ovvero in quell'attività attraverso le quali il soggetto rende presente la propria potenzialità del mondo, cioè le attività lombarde che sono essenzialmente l'arte, la religione e la filosofia.

Partiamo dallo spirito soggettivo che si divide in d'altra parte che sono l'antropologia (studio del soggetto in quanto uomo), fenomenologia (forma di manifestazione della coscienza) e psicologia.
L’antropologia rappresenta lo studio dell'anima come momento della vita ideale dello spirito, ovvero considerata nella sua fase aurorale in cui lo spirito si trova ancora nella fase di dormiveglia. Con l'anima Hegel intende tutto quel complesso di legami che legano l'uomo al suo ambiente e che caratterizzano l'emergere di una serie di capacità dell'uomo, con la quali l’uomo si relazione a questo ambiente per esempio la sensazione. E’ anche molto interessante la critica che Hegel pone al concetto di sensazione per Aristotele, in particolare alla frase “nihil est in intellecto quod non fuit in senso” e Hegel ritiene che il realtà sia da rovesciare questo tipo di interpretazione quindi “nihil est in senso quod non fuit in intellecto”, che in realtà sembrerebbe paradossale perché non c'è della sensazione nulla che non sia stato prima dell'intelletto. Ma in realtà quello che vuole dire è che non esiste un'osservazione che in qualche modo sia un'osservazione pura perché in qualsiasi modo noi agiamo per osservare la realtà questo è già intriso di teoria, infatti perché osservare una cosa piuttosto che un'altra? perché vogliamo realizzare qualcosa e quindi abbiamo un progetto, un'idea da fare perché tra le migliaia di stimolazioni che ci arrivano le isoliamo solamente alcune in quanto solo utile alla nostra attività perché vanno in direzione di quello che vogliamo fare, ma quello che noi vogliamo fare una cosa che decidiamo dell'intelletto e quindi non una cosa che a partire all'esperienza. Quindi il realtà la razione in verità, lo spirito, la ragione si pongono prima della stessa sensazione perché la condizionano.


Naturalmente l'antropologia abbiamo detto si occupa del concetto di anima che è diventata consapevole di se stessa e naturalmente affronta il problema della materialità o immaterialità dell'animo, ora è chiaro che anche in questo caso Hegel rovescia i termini della questione infatti non si tratta di dimostrare che l'anima è immateriale ma che tutto è nella sua essenza immateriale, anche la realtà perché nella sua essenza anche la realtà è ragione (ratio o spirito) e quindi è anch'essa in quanto spirito immateriale, tutto è nella sua essenza immateriale.
L’anima si sviluppa in tre fasi:
1.       anima naturale, quella che riguarda il mondo delle qualità naturali (quella che Aristotele chiamava anima vegetativa), che presenza alle funzioni naturali degli individui (crescita, sviluppo, riproduzione)
2.       anima senziente, che appartiene solamente a quegli organismi che sono caratterizzate dal movimento e dalla percezione (che Aristotele chiamava sensibile e motoria)
3.       anima reale, che è l'anima come realmente è, ovvero il punto più alto dell'anima senziente, che è rappresentato dall'abitudine, ovvero dal fatto di essere consapevole di sentire e per questo non è più legata al corpo, ma in un certo senso s'impadronisce del corpo perché scopre che è lei stessa a dare senso allo stesso corpo
A questo punto si passa alla fenomenologia che avevamo già trovato come prima opera di Hegel e potremmo dire che la fenomenologia dell’enciclopedia delle scienze in compendio, ovvero del sistema hegeliano, ripresenta lo stesso iter della fenomenologia dello spirito (racchiuso unicamente nelle prime tre figure) ma molto più ristretto, ovvero quell'opera che era due volumi di circa 800 pagine viene ridotta, all’interno delle scienze filosofiche, a poche decine di pagine. Questo perché ormai non c'è più bisogno di spiegare tutto l'itinerario della coscienza, che come già detto si compie in tre fasi: coscienza immediata, auto-coscienza e ragione.
A questo punto la coscienza e lo spirito si scopre verità dell'anima e diventa oggetto della psicologia a livello soggettivo, che è la terza figura: la psicologia è lo studio degli atti attraverso i quali nella soggetto si manifesta lo spirito. Anche questa psicologia è caratterizzata da tre momenti di passaggio che sono:
1.       psicologia teoretica o spirito teoretico, che osserva i modi e le attività dello spirito con i quali noi conosciamo e organizziamo la nostra conoscenza del mondo (le rappresentazioni, la memoria, l'immaginazione), questo naturalmente ha una livello superiore perché a questo punto non sono più attività della coscienza ma sono una vera e propria attività che esprime lo spirito a livello soggettivo
2.       spirito pratico, che studia l’insieme delle attività attraverso le quali il soggetto spirituale opera nella realtà, ovvero come si comporta e come diventa consapevole di se nella dispersione della realtà
3.       spirito libero, questa volontà di libertà e di vedersi realizzato anche nel mondo esterno che senti al passaggio alla seconda figura dello spirito

La seconda figura dello spirito è lo spirito oggettivo, perché è il momento nel quale il soggetto si rende consapevole che non si può mai realizzare in una dimensione individuale ma solo in una dimensione istituzionale, ovvero si scopre libero non tanto in sé e ma nelle istituzioni che, in quanto uomo, si da.
Questo è il momento più significativo del sistema di Hegel e rappresenta l'analisi dello spirito che si realizza non più nelle attività del soggetto ma nelle istituzioni associative e comunitarie dell'uomo, dalla famiglia passando attraverso la società civile sino allo Stato o eticità, ecco che quindi le tre figure dello spirito oggettivo saranno quelle:
1.       diritto astratto, che presiede a regolare i comportamenti tra le persone
2.       moralità
3.       eticità, che a sua volta è formato dalla famiglia, dalla società civile e dallo Stato
Potremmo dire che per Hegel lo spirito oggettivo è l’etos (che in greco significa costume o legge che governa la vita di una determinato popolo) che era presente all'interno della vita etica e politica dell'uomo, ecco perché la figura finale sarà l'eticità perché rappresenterà quali sono le realizzazioni concrete di questo etos.
La filosofia dello spirito oggettivo e molto famosa perché Hegel si occupa delle realizzazioni concrete dell'umanità a partire da un principio che formula, all'intero di un altro testo che non è l’enciclopedia delle scienze filosofiche e compiendo, in cui si occupa settorialmente di questa questione e si chiama “Lineamenti per una filosofia del diritto”. In questo testo Hegel afferma una concezione che è “ tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale”, quindi tutto ciò che in qualche modo corrisponde a razionalità dello spirito esiste nella realtà e tutto ciò che esiste nella realtà è razionale, ma in questa affermazione c'è qualcosa di problematico perché in questo modo si può giustificare qualsiasi cosa perché in qualsiasi cosa esiste un elemento di razionalità; questa concessione è stato definita “teoria giustificazionalista hegeliana”.
Lettura pag 186 “Reale e razionale”
Hegel dice che appartiene al senso comune considerare ogni cosa reale come razionale, perché Hegel concepisce l'idea che tutto ciò che può essere pensato può anche essere. Così come è vano pensare che sia possibile trovare qualcosa di reale che non sia presente è altrettanto vano pensare che ciò che è idea e razionalità sia solamente astratto perché ciò che è idea e razionale e qualcosa che in realtà rappresenta l'essenza immutabile ed eterna del reale. La razionalità, che è ciò che rappresenta l'essenza dei fenomeni, in realtà assume molteplici aspetti ma laddove si cerchi di indagare la realtà in un modo speculativo si scopre che dentro questa molteplicità di fenomeni dietro scopriamo qualcosa di costante e razionale. Quindi se anche noi non capiamo perché abituati a una dimensione finita, analizzando in una dimensione assoluta dello spirito capiamo che anche le cose apparentemente irrazionale (la violenza e cose brutte in genere) tutto in realtà a uno suo senso che dietro a ogni cosa c'è la razionalità.
L’oggetto della filosofia non è un filo mondo delle apparenze delle cose che si manifestano, la filosofia non si occupa del finito ma dell'infinito e quindi dell'essenza e di ciò che sta dietro questo molteplice mondo delle apparenze. Quindi la filosofia non si deve neanche occupare di tutte le molteplici obiezioni che le vengono poste di non considerare questo mondo molteplice perché questo trascende il suo compito e quindi anche a quelli che possono obiettare che nel mondo è difficile scoprire una razionalità, la filosofia deve scoprire solamente che la razionalità, che poi è lo spirito dialettico, guida tutto ciò che avviene nel reale.
Quindi quando si cercherà di dimostrare che lo Stato è un'istituzione razionale non lo dobbiamo preoccuparci di tutte le potenziali obiezioni che ci fanno vedere stati che erano irrazionali, infatti ci interessa dimostrare come lo Stato sia un'istituzione razionale e anche il vertice dello spirito oggettivo. Quindi non si tratta di costruire uno Stato ideale ma di dimostrare dello Stato nonostante le sue imperfezioni è sempre perfetto perché manifestazione razionale dello spirito oggettivo. Questa è una posizione che si presta ad essere criticata perché sembra voler togliere importanza a tutte quelle cose che gli uomini soffrono dicendo che l'alt alla sofferenza di ognuno di noi è irrilevante perché trova una sua giustificazione nella filosofia e nello spirito del tutto e guida la storia  e gli uomini.

Immediatamente dopo la pubblicazione e iniziano a criticare Hegel perché la sua concezione è troppo giustificazionalista pensare che tutto ciò che c'è di male è comunque bene, infatti doveva esserci il male perché senza questo non ci sarebbe stato il progresso l'affermazione della nazionalità. Tanto che Hegel è talmente colpito da queste critiche che in una seconda edizione delle scienze filosofiche e compendio aggiunge un pezzo nel quale si occupa di questa questione all'inizio della filosofia dello spirito oggettivo nel quale cerca di dimostrare che tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale.
Cerca e quindi di distinguere ciò che era reale da ciò che era semplicemente esistente, infatti si può definire reale ciò che si attua secondo una struttura di razionalità interna, quindi ciò che si attua nella realtà privo di questa struttura (la violenza tutte le cose brutte) è semplicemente esistente; come si vede è una questione di lana caprina.
Però per Hegel è assolutamente vero che la realizzazione del sistema nelle strutture socio politiche e nella vita dell'individuo avviene nella storia e di storia ce n'è una, quella che Vico chiamava “storia ideale eterna”, quindi se tutto viene all'interno della storia ogni cosa che avviene e trovo il suo posto all'interno di questa storia ideale eterna, quindi ogni cosa che avviene occupa una suo posto e quindi è fondamentale per l'economia della storia che diviene, la quale dovrà recuperare e giustificare perché la storia, essendo la manifestazione dello spirito, si giustifica in sé e giustifica tutto quello che avviene al suo interno. È vero che è razionale l'intero sistema della storia ma o il sistema solamente qualcosa di formale e che quindi non ha nulla a che vedere con i contenuti che gli fanno parte, ma noi sappiamo che questo impossibile perché per Hegel non da concepisce distinzione tra forma e contenuto perché sono entrambi aspetti di un'unica realtà, quindi se questa vero tutti i contenuti, anche i più oscuri, sono qualcosa che partecipano di questa forma, di questa storia ideale eterna e allora sono tutti reali e razionali (filosofia giustificazionalista).

Naturalmente anche la filosofia dello spirito oggettivo si divide in:
1.       diritto astratto
2.       moralità
3.       eticità
Il diritto nasce quando la libertà di agire dell'uomo per non essere una libertà così potenziale ma essere una libertà reale deve concretizzarsi in qualcosa e quindi si esercita sull'appropriazione, quindi l'uomo è  naturalmente libero di appropriarsi delle cose. La prima figura del diritto che l'uomo ha in quanto essere libero coincide con la figura della proprietà, ma questa appropriazione che era immediato non basta perché in realtà quello che ho preso è proprietà di tutti, quindi c'è bisogno di rimediare questo rapporto astratto attraverso il contratto che riconosce la mia proprietà, ma ecco che quando nasce il contratto nasce anche la possibilità di non rispettarlo e quindi la possibilità di recare un torto a colui che a questo tipo di diritto; la terza figura sarà quindi quella del diritto contro il torto. Nasce quindi il diritto privato, che è il diritto civile, che ha come nucleo essenziale quello di gestire la relazione delle proprietà e degli individui privati tra di loro.

Il diritto astratto rappresenta l'analisi della questione giuridica a un livello ancora inadeguato, che in questo caso è il diritto privato che nasce dal concetto di proprietà, la quale a sua volta nasce quando questa appropriazione di tipo immediato si introduce in un contratto, ovvero una legittimazione giuridica, e come ogni volta che si stabilisce un contratto nasce la possibilità di contravvenire al contratto e quindi a sua volta la nascita del diritto contro il torto, ovvero la possibilità da parte del soggetto di rivalersi giuridicamente su quelli che non va rispetto dei contratti.
Con il diritto contro il torto siamo introdotti nella dimensione della moralità perché questa è la capacità di distinzione tra il bene ed il male da parte di un soggetto ed è proprio il diritto contro il torto a sancire per la prima volta in un modo astratto a fare la prima distinzione tra bene e male. La moralità rappresenta per certi versi l'internalizzazione di questa norma di rispetto del bene e contro al male, ma in questa internalizzazione inizia il dominio della volontà libera e che si autodetermina, nel senso che non è determinata dalle cose esterne come nelle diritto astratto. Solo che la volontà non è morale e affinché sia morale occorre il proponimento (che è la prima figura della moralità), ovvero quell'atteggiamento con il quale il soggetto riconosce come sue quelle azioni che rispondono a un deliberato proposito. Solo che un proponimento che acquisti un valore morale ha bisogno anche di essere un proponimento che viene mediato dall'intelletto, ovvero che di fronte a uno scenario di possibili azioni e di proponimenti ne scelte uno. A questo punto il proponimento diventa intenzione nel senso letterale del termine, ovvero una azione è intenzionata nella misura in cui dopo un'analisi di tipo razionale sceglie di dirigersi verso quello scopo che identifica come suo.
Ora il fine a cui tende una azione moralmente intenzionata, dice Hegel, è il benessere, solo quando l'intenzione e il benessere si sollevano all'universalità allora il fine dell'azione morale diventa il bene. Ma anche il bene così considerato, come ciò che si deve fare per fare il bene, a questo livello dice Hegel è ancora a una dimensione astratta perché ha bisogno di una volontà soggettiva che lo attui. Qui emerge la contraddizione costitutiva di ogni agire morale, ovvero quella contraddizione tra il bene e una volontà soggettiva che non è sempre intenzionata al bene ma che può fare anche il male. Quindi nasce quella contraddizione, che per Hegel è l'elemento specifico della morale kantiana, tra dover essere e essere; questo per Hegel è l'esito necessario di tutte le morali che costitutivamente si pongono in questa situazione di contraddizione costante tra essere e dover essere; anzi come sappiamo Kant aveva concepito una morale formale in cui non aveva individuato i contenuti.
Ma per Hegel non è nella moralità che si può superare questa costitutiva contraddizione, ecco che quindi si passa all'ultima figura della filosofia dello spirito oggettivo che è l'eticità, ovvero quando il volere della soggetto si realizzate da fini concreti, quindi si capisce che in realtà non esiste un dover essere perché in realtà questo coincide con dall'essere perché in ciò che era reale è razionale (perché rappresenta la manifestazione dello spirito e quindi ciò che deve essere).
Il mondo del eticità è quella in cui il volere della soggetto si realizza in da fini concreti, ovvero comprende che è quello che realizza l'uomo a livello delle sue associazioni e istituzioni a rappresentare ciò che deve essere. Anch'essa si divide in tre figure che rappresentano l'evoluzione delle forme di associazione dalla più immediata alla più evoluta, dalla famiglia passando per la società civile sino allo Stato. Già questo itinerario rappresenta una novità rispetto alla riflessione sul politico che noi abbiamo affrontato sinora, ovvero quella tradizione che abbiamo definito giusnaturalista, anzi potremmo dire che Hegel si richiama al modello aristotelico, e la quale concepiva il passaggio dalle prime forme di aggregazione sino alle più evoluta e come una evoluzione naturale. Questo rimette in gioco un elemento dello Stato sul quale si baseranno tutte le dittature totalitarie, queste infatti prenderanno come modello di concezione dello Stato questa concezione di Stato etico, ovvero lo Stato che si pone al di sopra di tutte le altre istituzioni.
La prima forma di associazione non può che essere la famiglia perché è la più naturale, perché l'uomo è portato a riprodursi. Naturalmente questa prima forma si scandirà in tre momenti, ovvero acquista valore dal punto di vista giuridico attraverso la prima figura, che è quella del matrimonio; solo che il matrimonio non basta perché fa riferimento a una dimensione familiare a un livello connettivo, la famiglia non è solo questo in quanto è anche unità economica. Quindi ecco che la seconda figura e quella del patrimonio, ovvero la famiglia si costruisce anche come cellula economica autonoma; solo che la famiglia a un altro compito, ovvero quello di essere protocellula di nuove cellule, ovvero di nuove famiglie e questo si compie attraverso l'educazione dei figli, la quale è fondamentale per Hegel per quello che riguarda l'educazione alla partecipazione a una società civile. Ecco perché scopo dell'educazione dei figli è quello di formare dei figli sufficientemente educati per uscire dalla famiglia e formane di nuove.
L’uscita dei figli rappresenta l'ingresso nella società civile, perché questa è espressa dalla pluralizzazione delle famiglie che frantuma il sistema unitario della famiglia coesa e media il passaggio a una società che rappresenta la dispersione atomistica o cellulare. La società civile quindi rappresenta cellule o atomi separati tra di loro e in conflitto tra di loro per la questione relativa alla appropriazione e alla proprietà, ecco perché la società civile per Hegel e anche la società che nasce dall'organizzazione moderna della proprietà, ovvero la società civile si rispecchia dalla pluralizzazione, specializzazione e settorializzazione del lavoro, che esprime questa frantumazione della società economica.
Ora è chiaro che questo identificare nella dimensione economica un elemento di conflittualità tra bisogni in conflitto tra di loro sarà una cosa che piaceva tantissimo a Marx, il loro cuore concepisce una evoluzione della storia come caratterizzata da questo passaggio di tipo conflittuale tra le classi sociali che si scontrano tra di loro.
Ora è chiaro che molto spesso questi interessi incominciano a coincidere, ovvero la società civile è una realtà di conflitto ma anche di incontro di interessi particolari, ed è qui che per Marx e Hegel si formano le classi sociali, infatti Hegel individua come primo momento della società civile questa tendenza a tentare di universalizzare certi particolarismi o ancora meglio di particolarizzare individualismi, ovvero bisogno di individui diventano bisogni di una parte ed è questo che è un momento difettivo del eticità infatti è il primo momento, quello che lui chiama del soddisfacimento dei bisogni.
Il sistema di bisogni è la tendenza dell'individuo o degli atomi cellulari di organizzarsi attraverso l'organizzazione del lavoro, nascono in questo modo differenti classi sociali, che sono quelle che rappresentano la struttura sociale della società civile dei paesi progrediti.
La prima classe sarà composto da coloro che vivono a immediato contatto con della realtà naturale, ovvero gli agricoltori, coloro che accrescono il loro patrimonio con i prodotti della terra. Al secondo livello si trovano quelli che hanno il compito di trasformare ciò che quelli della prima classe ricavano dalla natura, ovvero gli artigiani e fabbricanti, ma anche commercianti. Infine la terza classe ha il compito di organizzare tutto ciò, l'amministrazione dello Stato e quindi la classe dei pubblici funzionari. Questa funzione amministrativa si pone essenzialmente due ambiti di attività il primo è quello della amministrazione della giustizia, ovvero dare un insieme di norme e leggi che possono regolamentare la relazione dei soggetti in conflitto tra di loro, questo rappresenta anche il ritorno della diritto formale che può anche comparire in due forme, la promulgazione del diritto formale e l'applicazione della legge, che richiama a sé il potere giuridico (potere esecutivo e giudiziario insieme). Naturalmente questo introduce la terza figura che è la polizia e la corporazione (soddisfacimento dei bisogni, amministrazione della giustizia e il file polizia e corporazione), che sono quelle parti dell'amministrazione pubblica che hanno il compito di tutelare la sicurezza sociale e la corporazione è una associazione che racchiudono proprio interno tutti coloro che lavorano all'interno di un determinato settore e che dovrebbe funzionare, poiché al suo interno racchiude gli interessi dei lavoratori e degli imprenditori, come elemento di mediazione sociale e di trasferimento del conflitto sociale esterno a un livello esterno. Non a caso questo modello verrà ripreso dal fascismo.

Questi due aspetti, ovvero l'amministrazione della giustizia, in entrambe le sue forme, e la polizia e la corporazione, vengono identificati da Hegel come stato esterno, perché fanno già parte dello Stato ma si occupano ancora di regolare la coesione delle relazioni esterne delle cellule che si convengono all'interno della società civile. Questi poi rappresentato al che il passaggio allo Stato, quello che poi sarà lo Stato interno, quella che sarà la terza e suprema figura dell’eticità.
Lo Stato rappresenta il ovvero culminante dell’eticità e rappresenta la soluzione delle contraddizioni che erano presenti all'interno della società civile, quelle contraddizioni che Hegel vede della società della sua epoca che lui chiama plebe. La società civile è una società che produce e genera una massa di diseredati, i quali partecipano solo degli elementi negativi della società civile, quelli che soccombono in questa guerra del mondo economico, guerra che viene vinta sempre di più da meno persone, coloro che afferrano il loro diritto di proprietà. Solo che a differenza di Marx, che trova la soluzione di questo conflitto economico nell'eliminazione della proprietà privata, Hegel non considera negativo questo momento, ovvero l'alienazione e la delegazione sono un movimento positivo perché mediano il passaggio e quindi sono indispensabili al processo che deve portare all'unica realtà che è in grado di dare un senso anche alle giustizia presente della società, ovvero quella che Hegel definisce la realtà dell'organizzazione universale delle libertà che per lui è chiaramente lo stato, che supera e recupera tutti i momenti dello spirito oggettivo, infatti lo Stato è diritto, moralità e eticità ma rappresentate la riunificazione dell'unità famiglia che si era disperso nella società civile.
Nello stato si compie l’etos di popolo, etos inteso come spirito e anima che vivifica un popolo, né insieme di quegli elementi che caratterizzò la civiltà della cultura di un popolo e nei quale un popolo si riconosce; lo Stato quindi rappresenta il compimento di questo etos e quindi la realizzazione dello spirito, anzi è la suprema forma di manifestazione dello spirito possibile a un livello di teorizzazione politica.
Hegel presenta lo Stato come la manifestazione più propria dello spirito e addirittura l'ingresso di Dio nella storia, proprio per questo si è parlato di stato uguale teofania (ovvero manifestazione del divino) e altri hanno accusato Hegel di statolatria. E’ chiaro che lo stato concepito così come il naturale evoluzione della famiglia è qualcosa che si pone oltre il modello politico, soprattutto per quello che riguarda il modello giustanuralista e in particolare come lo considerava Locke, ovvero come mero strumento per tutelare gli individui e quindi non solo gli individui che trovano il senso dello Stato ma lo Stato che trova senso della tutela degli individui. In tutto questo secondo Hegel c’è di negativo che si crea una confusione tra la società civile e lo Stato perché si considera come elemento prioritario dell'uomo dotato il suo essere cittadino quanto il suo essere individuo; per Hegel bisogna rovesciare questo tipo di rapporto infatti non esisterebbe il diritto privato se non esistesse il diritto pubblico perché il diritto nasce come emanazione dello Stato.
Come sappiamo secondo questo tipo di modello lo Stato è l'espressione di una sovranità che risiede dei cittadini ma Hegel afferma che questa è una finzione perché il popolo al di fuori dello Stato non esiste infatti dello Stato che forma il popolo nazionale, infatti da una forma, che corrisponde al suo etos, alla popolo, il quale trova senso solo quando viene considerato come unità che si riconosce all'interno di questo etos.
La sovranità dello Stato quindi non deriva dal popolo ma deriva da sé e questo porta Hegel a criticare anche la tradizione contrattualistica del giusnaturalismo, infatti questo è impensabile per Hegel perché lo Stato ha in sé la giustificazione della propria origine. Questo è importante perché Hegel non critica il contratto perché non è mai esistito storicamente ma viene criticato perché è assiologicamente ingiustificabile, perché mentre prima quello che è dopo infatti lo Stato viene prima dell'individuo.
Se questo è vero anche lo Stato che nasce come strumento per rispettare i diritti naturali viene meno perché al di fuori dello Stato questi diritti neanche esistono, infatti allo Stato che fonda il diritto perché è con lo Stato che nasce la legge, infatti lo Stato hegeliano è uno Stato assoluto ma non è uno Stato dispotico perché questo Stato opera attraverso le leggi.
Solo che anche in questo caso c'è una differenza radicale tra il concetto di legge di Roussoe e quello di Hegel, infatti per il primo una legge se non è giusta non era neanche una legge, perché la legge deve essere essenzialmente giusta, per Hegel invece una legge giusta solo per il fatto di esserci perché è positiva. Gli stessi cittadini sono liberi ma in senso diverso da Roussoe, che concepiva che un cittadino è libero solamente quando ubbidisce a se stesso, per Hegel è vero il contrario, ovvero il cittadino è libero nella misura in cui obbedisce alla legge che è stata promulgata, che era l'unica forma che concretamente la libertà può assumere, infatti la libertà deve andare in direzione dell'universalità e legge è sempre universale.
In base a questa concezione secondo la quale lo Stato esprime l’etos di ogni popolo Hegel arriva anche a dare una sua posizione per quello che concerne la costituzione prende del partito contro la concezione napoleonica, ovvero quella che laddove esista una costituzione buona, una costituzione che riconosce e garantisce la libertà degli individui, può essere esportato. Hegel è assolutamente contrario perché la costituzione non può che sgorgare dall’etos di una nazione quindi non può che essere differente a seconda della nazione, in questo riprende anche contro Roussoe la tradizione di Montesquiere, ogni legge a uno spirito.
Questo secondo Hegel spiega anche il fallimento di Napoleone e di tutti quelli che hanno voluto di imporre le costituzioni ad altri popoli e che hanno fallito, perché laddove la costituzione viene imposta lo spirito di quel popolo reagisce e si ribella a quei legami disposti che avverte come estranei.

Anche lo Stato si divide in d'altra parte, che lui chiama:
1.       diritto interno
2.       diritto esterno
3.       storia
Il diritto interno si suddivide in da quei poteri che caratterizzano lo Stato, che lui divide in potere legislativo (che ha il potere di determinare e stabilire l'universale attraverso la produzione delle leggi), alla cui creazione devono far parte le assemblee delle classi, anche se questo fatto crea un problema perché il fatto di annettere le assemblee delle classi determina una particolarità e quindi una possibilità di essere condizionato da queste particolarità delle varie parti interne.
Il potere supremo dello Stato è invece il potere esecutivo o governativo perché è quello che concretizza l'astrattezza delle leggi in quanto viene al suo interno anche il potere giudiziario. Infine il terzo potere è quello del principe, che ha il compito di ratificare decisioni che però non prende più lui, questo fatto fa il potere del principe il potere superiore.
Il diritto esterno è quello che oggi noi chiameremo diritto internazionale, ovvero quello che riguarda le relazioni dello Stato al suo esterno con gli altri Stati; qui sorge anche una grande differenza tra Hegel e Kant, infatti Kant aveva scritto un'opera sulle relazioni tra gli Stati che si intitolava “Per pace perpetua”, in quest’opera lui riteneva che fosse possibile concepire una sorta di organismo super statale che nascesse dalla confederazione degli stati che in qualche modo si assumesse il compito di gestire in modo pacifico in conflitti che potevano sorgere tra gli Stati. La pace perpetua quindi si poteva fare creando un meccanismo a cui venga riconosciuto il potere, la forza della superiorità sugli altri Stati e attraverso questo gestire e regolare i conflitti. Naturalmente in questa descrizione kantiana c'è qualcosa che per Hegel è inaccettabile ovvero che si possa concepire qualcosa che sia al di sopra dello Stato, infatti se lo Stato è la massima manifestazione di Dio o dello spirito oggettivo è impossibile concepire qualcosa che stia al di sopra dello Stato perché sarebbe contraddittorio; quindi è impossibile regolare le relazioni tra gli Stati facendo riferimento a una organizzazione ulteriore, l'unico giudice non può che essere che la guerra.
Lettura “Il significato della guerra”
La guerra è fondamentale perché ha un compito essenzialmente produttivo (ed è anche l'unico modo per gestire potere interzazionale), ovvero quello di permettere il cambiamento all'interno della storia, infatti lo spirito essendo uno spirito dialettico tende sempre al superamento di ciò che è esistente di conseguenza la guerra ha in se una funzione positiva.
Inoltre Hegel anticipa un'altra concezione della real politic di fine secolo, ovvero la guerra o la conquista imperialista come elemento che permette di superare eventuali conflitti interni, ovvero scaricare all'esterno attraverso la guerra le conflittualità interne allo Stato permette allo stesso stato di non soccombere per questi conflitti interni. La guerra è anche uno strumento attraverso il quale lo Stato decentrato i propri conflitti.
La guerra, come abbiamo detto, è importante per la storia, per questo il terzo momento è quello della storia, infatti la storia, intesa come evoluzione della società e della cultura dell'uomo, essendo nazionale si muoverà in direzione del meglio. Se lo Stato rappresenta l'interesse della ragione di Dio nella storia, la storia rappresenta il dispiegarsi di questa ragione che si esprime attraverso di Stato, anzi Hegel dice “così come la storia è il dispiegarsi dello spirito dello spazio, la storia è il dispiegarsi dell'idea o dello spirito del tempo”, ovvero la storia lo sfondo sul quale si afferma la razionalità dello spirito.
Anche qui Hegel è consapevole che la storia non è solo razionalità (ci sono tante cose brutte nella storia), ma anche qui questo considerare la storia a partire dagli eventi dice Hegel è ancora un modo intellettualistico e astratto di considerare la storia, infatti la razionalità non sta negli eventi o dei contenuti ma nella totalità (la storia ideale eterna di Vico). Quindi le realtà particolari considerate dal punto di vista della ragione assoluta, ovvero quella ragione che ragiona sulla totalità della storia, questi elementi particolari non sono nient'altro che le fasi necessarie di un movimento della storia che nel momento stesso in cui li nega gli recupera anche in sé.
La fede nella storia per Hegel rappresenta la forma vera e autentica di quella fede nella provvidenza di tipo religioso che aveva caratterizzato le epoche precedenti, la storia subentra alla provvidenza anche nel compito di riscattare gli individui.

Avevamo detto che in realtà gli eventi e gli individui particolari acquistano un senso in quanto il loro tragitto storico viene recuperato all'interno della totalità della storia, indipendentemente che l’evento sia tragico o meno. Ma in realtà necessariamente, almeno dal punto di vista dei popoli, l'evento deve essere tragico, perché naturalmente un popolo, esaurito il suo cammino e conseguito il suo destino all'interno della storia deve necessariamente essere superato da un altro popolo che assume la funzione di guida egemone all'interno del movimento storico.
Lo spirito oggettivo si dispiega nella storia, secondo Hegel, come uno spirito del popolo che poi trova concretamente una propria manifestazione nella storia concreta dei vari popoli. Quindi anche a livello della storia Hegel parla di popoli ma non di individui, gli individui infatti non sono nient'altro che dei mezzi che lo spirito della storia utilizza per portare avanti il proprio cammino. E’ chiaro che secondo quest'ottica gli individui, con le loro passioni e i loro comportamenti, saranno tanto più adeguati e tanto più corrispondenti a quello che gli si richiede quanto più cercheranno di adeguarsi a quello che è spirito del proprio popolo. Nessuno, dice Hegel, può saltare oltre lo spirito del proprio popolo perché in qualche modo noi siamo permeati dalla civiltà e dalla cultura che rappresenta il nostro punto di riferimento, ovvero siamo eticamente (nel senso di etos) appartenenti a una determinata cultura, anzi è talmente impossibile che è come se, dice Hegel, uno pretendesse di saltare fuori dalla terra (ma essendo la terra l’unico ambiente antropico per l’uomo, così come non si può saltare fuori dalla terra allo stesso modo non possiamo saltar fuori dalla cultura e quindi dalla storia del nostro popolo di appartenenza).
Tuttavia può accadere che alcuni individui, che vengono normalmente presentati come degli eroi e presentano uno spirito eroico, possano in qualche modo anticipare lo spirito del loro tempo e quindi possono, con le loro gesta che rompono gli schemi abituali, apparentemente sembrare opporsi allo spirito vigente e sono loro a farsi artefici e protagonisti della cambiamento della civiltà e della storia, quegli individui che possiamo individuare come epocali, dopo i quali l'andamento storico sembra effettivamente mutato.
Ma questa apparente importanza di alcuni individui è quello che Hegel chiama “l’astuzia della ragione”, intesa come la razionalità dello spirito razionale, che governa la storia, che si nasconde dietro questi individui agendo attraverso le loro passioni individuali e quindi sono utilizzati come meri mezzi per realizzare ciò che vuole, ovvero arrivare la dove lo spirito razionale vuole arrivare. Potremmo anche dire che la vita di questi eroi è comandata dall'astuzia della ragione perché la fine della vita di questi eroi è essenzialmente sempre tragica.

Questo vuol dire quello che dicevamo prima: che ogni popolo è destinato ad essere superato da altri popoli e questo processo dello spirito ha un andamento eliodromico, ovvero segue il corso del sole e quindi va da oriente a occidente. Inoltre in questo movimento eliodromico si manifesta l’ordine teleologico insito nella storia (questo è un elemento molto importante che Hegel ritrova nella lettura della critica del giudizio), ovvero il fatto che nella storia esiste un fine e questo fine è rappresentato dallo spirito razionale che si muove sempre verso il meglio, quindi ciò che viene dopo è sicuramente migliore di ciò che viene prima (ecco perché Hegel viene considerato un filosofo della maturità, perché ritiene che ciò che viene tardi sarà più perfetto di ciò che viene prima). Ecco perché secondo lui la cultura e il popolo che rappresentano il punto d'arrivo di questo movimento è proprio la cultura cristiano-germanica, perché naturalmente dalle civiltà orientali, passando attraverso il mondo egizio, greco e romano si è arrivati alla Germania. A questo punto la storia sembrerebbe aver raggiunto il proprio compimento, ora se questo è vero vuol dire che se la storia ha avuto il proprio compimento con Hegel nell'affermazione della cultura germanica e dello stato prussiano, significa che la storia non si evolve più. Tuttavia questo è un concetto aporetico perché se lo spirito dialettico è rappresentato dalla progresso e dal movimento non potrà mai arrestarsi e quindi quel compimento che secondo Hegel è rappresentato dal suo pensiero e dalla sua epoca in realtà non può essere pensato come un compimento; anche se Hegel ci avrebbe detto che all'interno di questo compimento era possibile che comunque lo spirito si evolvesse rimanendo pur sempre all'interno di questo sistema. Potremmo dire che indicando questo compimento Hegel non volesse indicare la fine della storia e di tutte le altre cose (filosofia, pensiero, arte, eccetera) ma solo il fine di tutti questi aspetti e il fine non può che essere rappresentato nello scoprire all'interno di ognuno di questi ambiti di intrinseca razionalità.
Ora con la storia si conclude anche la filosofia dello spirito oggettivo, che però non rappresenta la fine del sistema perché la filosofia dello spirito si conclude con il sapere assoluto. Quindi lo Stato non è lo stadio ultimo della filosofia, infatti dopo essersi realizzato fuori di sé nella storia l'idea lo spirito ritorna in sé, ma in questo ritorno in sé giunge anche al compimento perché a questo punto l'idea si presenta come qualcosa che si autoconosce in maniera assoluta. In questa autoconoscenza, che avviene attraverso la filosofia, però dice Hegel e come se si realizzasse una forma di autocoscienza di Dio stesso, ovvero Dio che si conosce nell’uomo e attraverso il sapere che l’uomo ha di Dio. Chiaramente anche in questo caso questa autoconoscenza non è immediata ma è il risultato di un processo rappresentato dai modi attraverso i quali l'uomo ha scelto di manifestare tale spirito: questi modi sono identificati da Hegel nell'arte, nella religione e nella filosofia (le tracce attraverso le quali l'uomo ha manifestato lo spirito e attraverso le quali lo spirito ha avuto una conoscenza di sé attraverso l'uomo).

L'arte rappresenta il primo gradino, il primo modo attraverso il quale lo spirito diventa cosciente di sé e giunge alla autocomprensione di sé però attraverso le forme sensibili. Chiaramente anche per Hegel l'arte è importante, infatti non nega quello che aveva detto Shelling e i romantici per quello che riguarda l’arte ma lo ritiene un elemento di inferiorità dell’arte, ovvero nell'arte rivive questo rapporto immediato tra spirito e natura, solo che questa forma immediata è una forma inferiore rispetto alla forma mediata del concetto e della ragione, quindi nell'esperienza dell'arte lo spirito e la natura vengono conosciuti si come tutt'uno ma in uno modo che non cogliere quella che è l'essenza propria della dimensione spirituale, che non è immediatezza ma mediazione perché coincide con la ragione dialettica.
Anche la storia dell'arte si dialettizza in tre momenti seguendo anche in questo caso un processo di tipo eliodromico. I tre momenti in cui si divide l'arte sono:
1.       l'arte simbolica, tipica dei popoli orientali e primitivi, caratteristica di queste forme d'arte e la stilizzazione, ovvero il fatto di voler esprimere un contenuto alto, che è contenuto nello spirito, ma non è ancora in grado di associare questo contenuto alto una forma espressiva adeguata perché è ancora un’arte primitiva
2.       arte classica (mondo greco-romano), ovvero quella che rappresenta un armonico equilibrio, quella nella quale si esprime il perfetto rapporto tra contenuto e forma ed è per questo che anche per Hegel dal punto di artistico rappresenta il momento della maggiore perfezione artistica
3.       l'arte romantica, ma anche l'arte classica deve essere superata da una nuova arte che coglie nuovamente uno squilibrio che è quello essenziale della realtà per Hegel, che è lo squilibrio tra contenuto e forma. Solo che la nuova arte rovescia il rapporto dell'arte simbolica perché a questo punto le forme di espressione artistica hanno raggiunto la massima espressività, ma per quanto siano perfette comunque non sono così perfetto da poter esprimere il vero contenuto spirituale, infatti il vero contenuto spirituale non è qualcosa che riguarda l'immediatezza ma qualcosa che riguarda la mediazione (per questo la musica era la forma artistica più perfetta).
Quindi l'arte non può mai cogliere essenzialmente che cosa è lo spirito, perché ha smesso di poter essere presentata come la manifestazione più adeguata per esprimere lo spirito; quindi non è una morte dell'arte ma una morte della presunzione dell'arte di poter essere l'espressione più adeguato di questa verità dello spirito.

Ecco che si passa alla seconda manifestazione dello spirituale, ovvero la religione, in cui lo spirito si manifesta nella forma della rappresentazione, ovvero la rappresentazione è il modo tipicamente religioso di presentare lo spirituale (la religione rappresenta il passaggio dall'esteriorità dell'arte in una interiorizzazione dello spirituale).
La religione da sempre si occupa essenzialmente di alcune cose: dimostrare l'esistenza di Dio, di determinare gli attributi che caratterizzano questo Dio, di determinare quale tipo di relazione esiste tra Dio e la sua creatura, di stabilire in che modo possa agire come provvidenza all'interno della realtà, ma la religione si occupa di tutte queste cose come se fossero tanti aspetti uniti ma non ho fusi di un'unica realtà. E da questa incapacità di fondere gli elementi e ciò che impedisce alla religione di giungere alla definizione di quella che è l'essenza spirituale, che è rappresentata dalla razionalità della spiritualità dialettica.
Anche la religione si muove attraverso un processo storico e di natura eliodromico che parte dalla:
1.       religione naturale, che trova la divinità degli elementi e elementi naturali (si traducono spesso in feticismo, ovvero quella forma di religione che coglie l'essenza divina dentro gli oggetti, e che nelle forme più evolute si manifestano con il panteismo)
2.       religione classica o come la definisce Hegel religione spirituale, in cui Dio per la prima volta compare in una forma spirituale o se ancora non compare come spirito almeno non è più colto negli oggetti ma è colto nell'umano (pensiamo all’antropomorfizzazione delle divinità greche). Questa religione definita spirituale perché è già qualcosa di meglio rispetto a vedere Dio in un oggetto o in un fenomeno
3.       religione assoluta, che è il cristianesimo, solamente con il cristianesimo Dio appare come uno spirito, probabilmente perché questa è la religione in cui compiutamente si crede in un uomo-Dio
Il cristianesimo in questo modo cogliere, anche se non pienamente, che l'autentica divinità risente nel essenza umana che è razionalità. Ma ciò che non va nel cristianesimo è che è essenzialmente rappresentativo attraverso la figura del Cristo ed ecco perché l'ultima forma dello spirito assoluto non può che essere quella che ci fa conoscere lo spirito nella forma adeguata del concetto e che identifica la spiritualità nella razionalità della filosofia.

Naturalmente la filosofia come terzo elemento recupera da una parte l'oggettività dell'arte e dall'altro la soggettività della religione perché, come sappiamo, la filosofia ci fa capire che lo spirito governa e si esprime essenzialmente sia nella realtà oggettiva (nel mondo naturale) sia nella realtà soggettiva (nel mondo razionale).
Anche qui si suddivide in un modo storico con un andamento eliodromico; ma ciò che ci interessa è capire che la forma più compiuta di filosofia è la filosofia hegeliana e che il pensiero filosofico rappresenta il punto più alto della manifestazione dell'idea in quanto spirito, un'idea (come sistema di razionalità) nella quale a questo punto s'è compiuto compiutamente l'itinerario del sistema.


A partire da questo momento affronteremo la filosofia attraverso tre tagli attraverso la quale si presenta anche la filosofia del 900; questi tagli si presentano come un tentativo di risposta critica all’hegelismo, intesa come una volontà di concepire un sapere sistematico basato essenzialmente sulla supremazia della ragione, della razionalità e quindi della soggettività rispetto all'individualità. Come vedremo la critica a Hegel si presenterà sotto tre aspetti, i primi che affronteremo sono quelli che in qualche modo criticheranno questa concezione partendo dalla considerazione che la realtà è tutto fuorché razionale, ovvero identificheranno come principio fondamentale che governa il reale non qualcosa di razionale e di logico, ma sostanzialmente qualcosa di irrazionale. Questi tre saranno Schopenhauer, Nietzsche e Freud. Poi affronteremo la critica a Hegel attraverso la formulazione di sistemi alternativi al suo, basti pensare al sistema positivista, a quello marxista e infine il terzo filone si porrà in contrapposizione perché sottolineerà l'importanza del singolo rispetto alla totalità (positivismo).
Come vedremo tutti questi pensatori si pongono criticamente nei confronti di Hegel in modo sostanzialmente teoretico, mentre altri criticheranno Hegel anche nell’ambito personale come sarà il caso di Nietzsche.

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