Gli appartenenti alla corrente neopositivista pensavano che Wittgenstein fosse il loro maestro, quello che aveva recuperato gli ideali del positivismo e che secondo alcuni la corrente neopositivista coincide con il circolo di Vienna. Tra la fine dell'ottocento agli inizi dell'novecento si assiste allo sviluppo di una campo filosofico che è quello della logica, che come vedremo avrà un'importanza fondamentale sul neopositivismo; Wittgenstein nel 1918 finisce di scrivere le ricerche filosofiche che però pubblicherà molto dopo, come sappiamo quello che cerca e crede di aver raggiunto nel trattato è stabilire quella perfetta congruenza che esiste tra linguaggi e la realtà (ovvero il linguaggio corrisponde alla realtà, il linguaggio inteso come la totalità delle proposizioni che descrivono il mondo e tutte le regole che ne determinano la creazione). Questo parallelismo che lui determina è quello che secondo lui ci permette di comunicare e che soprattutto quando descriviamo un fatto riteniamo che questa descrizione del fatto corrisponda in modo adeguato alla realtà, ciò che rende possibile la comunicazione tra la rete del linguaggio e quella dei fatti è la forma logica, perché la forma logica è identica nella realtà e nel linguaggio (teoria della raffigurazione). Ciò è anche dimostrato dal fatto che noi fotografiamo gli oggetti perché pensiamo che abbiano la stessa struttura logica della realtà, ma anche le carte geografiche o le statue.
Tutte le descrizioni sono sensate, perché descrivono la realtà, ma solo una può essere considerata vera perché c'è nella realtà. Da questa concezione deriva quella che sarà la frase d'ordine del circolo di Vienna ovvero “il linguaggio sensato è quello ostensivo” (ovvero il linguaggio che mostra e descrive qualcosa che è presente nella realtà, quelli che Aristotele chiamava giudizi apofantici), quindi su tutto ciò che non riguarda questa categoria bisogna tacere, questo perché con il linguaggio non si gioca anche se poi Wittgenstein dirà che con il linguaggio è il gioco per eccellenza.
Il circolo di Vienna, che rappresenta secondo alcuni il movimento del neopositivismo, si avvicinerà al trattato nello stesso modo in cui si dice avvicina ad un testo sacro (una sorta di Bibbia del neopositivismo), quello che tra l'altro verrà ritenuto essenziale è proprio quello che Wittgenstein dice nella prefazione, ovvero che tutti problemi filosofici sono problemi di tipo linguistico e derivano da un uso pregiudicato del linguaggio. Come tutti i movimenti chiaramente anche il neopositivismo è un movimento molto variegato al proprio interno, anche sugli stessi fondatori del gruppo, molto spesso si tende ad identificare il neopositivismo proprio con il circolo di Vienna, perché questo entrò in contatto con altri esponenti di rilievo del neopositivismo che non vi appartenevano, ma come abbiamo detto le differenze sono notevoli.
Nonostante le notevoli differenze ci sono comunque dei tratti comuni, anzi un filosofo contemporaneo a identificato in modo corretto che cos'è l'elemento comune, il neopositivismo infatti è il tentativo forse più radicale di distruzione della metafisica, ovvero di togliere portata e valore scientifico alla metafisica. Altri elementi sono:
1. il fatto che tutti pongono una costante attenzione sul linguaggio
2. la presunzione che partendo dall'analisi del linguaggio si possa raggiungere quale sia la dimensione di competenza della filosofia, che poi sarà l'analisi linguistica
3. la credenza che sia possibile arrivare ad un linguaggio duro e scientifico, che non può che corrispondere al linguaggio logico matematico della scienza, perché solamente quello può descrivere in modo adeguato alla realtà empirica
Secondo alcuni il circolo di Vienna e il neopositivismo si è strutturano come movimento grazie alla pubblicazione di un manifesto che viene pubblicato in onore di Schlick, che è uno dei membri di spicco, un manifesto che s'intitola “La concezione scientifica del mondo” e che non è nient'altro che l'insieme delle indicazioni programmatiche del movimento.
Lettura “La concezione scientifica del mondo”
Il neopositivismo si prefigge come scopo la scienza unificata, ovvero arrivare all'unificazione dei vari ambiti scientifici facendoli coincidere al linguaggio delle scienze naturali, per far questo sorge un'esigenza ovvero quella di creare un sistema linguistico formale e neutrale (che in qualche modo non sia soggetto alle impurità delle lingue storiche, perché nel corso del tempo i significati delle parole cambiano). Quindi bisogna creare un sistema formale che ci permetta una lingua universale e perfetta che sia incontaminata dalle lingue storiche, si tratta quindi di applicare l'analisi logica al materiale empirico (che deriva dall'osservazione della realtà). Per dimostrare come questo movimento voglia contrapporsi ai sistemi filosofici precedenti alcuni fautori della concezione scientifica del mondo non vogliono sentire più applicare al loro lavoro la parola filosofia, perché non sono più filosofi ma sono scienziati del linguaggio perché la filosofia ha per sua stessa natura e per sua stessa storia del metafisico, solo che questa unità di ciò che è settoriale è data da un unico linguaggio.
Ma dopo questo manifesto molti manifestano sensibilità differenti e quello che più di tutti è insensibile è lo stesso Schlick perché lui non intende affatto allontanarsi dalla filosofia, lui vuole stabilire i contorni di quello che è filosofia. Nel 1930 scrive un articolo che s'intitola “La svolta nella filosofia” nel quale vuole recuperare il ruolo della filosofia, secondo lui la filosofia è una attività attraverso la quale noi dobbiamo chiarire il senso dei nostri enunciati (l'enunciato è il modo attraverso il quale i filosofi del linguaggio chiamano le proposizioni apofantiche). Quindi la filosofia ha il compito di rendere esplicite le proposizioni poi la scienza ha un altro compito, ovvero quello di verificare le proposizioni (ovvero le teorie) se corrispondono alla realtà. Nel 1932 sempre lui scrive “Il futuro della filosofia” nel quale non solamente ritiene che ci sia ancora un posto per la filosofia ma provocatoriamente chiama la filosofia così come la chiamava Aristotele, ovvero la regina delle scienze. La regina delle scienze non è una scienza come tutte le altre ma è diversa nel fatto che è una attività, il che vuol dire che non ha da esprimere delle sue verità ma possono verificare gli enunciati e il linguaggio con le quali le scienze esprimono le loro verità per vedere se sono sensate. Quindi il compito della filosofia ha a che fare con il significato perché non esistono delle verità filosofiche, la filosofia infatti lavora solo sugli enunciati che esprimono le verità nelle altre scienze. Ma la teoria di Schlick che crea più problemi al circolo di Vienna è la teoria del “principio di verificazione” del 1936, ovvero quello secondo il quale ciò che stabilisce la sensatezza di una teoria è il fatto che la teoria possa essere verificata. Schlick dice che il significato di un enunciato è una descrizione delle situazioni in cui l'enunciato formerà una proposizione vera e quelle in cui ne formerà una falsa, per esempio stabilire il significato della proposizione “ la finestra era aperta” significa vedere se la finestra è veramente aperta. Il significato di una proposizione è il metodo della sua verificazione, ovvero il metodo attraverso il quale io mi possa accertare se ciò che esprime significato è vero, ovvero se la finestra è aperta. Sono scientifiche e quindi sensate sono quelle proposizione che possono essere verificate, il che richiama necessariamente all'utilizzo dell'esperienza, questo creerà dei problemi perché elimina dall'orizzonte delle proposizioni insensate proprio quello che le scienze ricerca.
Questo è importante perché sembrerebbe cacciare l'orribile mostro, che alla metafisica, quindi quello che non può essere verificato nella realtà empirica non può essere prese in considerazione, ovvero poiché le proposizioni della metafisica sono di tale natura allora si raggiunge l'obiettivo, che secondo Schlick è quello che tutti volevano raggiungere, ovvero l'espulsione della metafisica. Il circolo di Vienna quindi ritorna ad essere unito.
Tra questi Carnap scrive un saggio nel 1932 intitolato “L’oltrepassamento della metafisica”, nel quale dice qualcosa di molto simile a quello che poi dirà nel 36 Schlick, in questo testo dice che sono metafisiche tutte quelle successioni di parole che formano una proposizione apparente (una proposizione che sembra essere una proposizione ma in realtà non lo è), per formare queste proposizioni si possono utilizzare parole che non hanno alcun significato (e che quindi riguarda la questione della semantica, per esempio “il libro è babico”) oppure si possono accostare termini che tra loro non hanno alcun senso (e che quindi riguarda la sintassi, per esempio “il numero sette è scuro”).
Quindi non siamo di fronte a degli anti-metafisici come lo erano quelli precedenti che dicevano che la metafisica è una favola, Carnap e il circolo di Vienna dicono che la metafisica e insensata perché la metafisica esprime qualcosa che noi non possiamo verificare nella realtà e quindi è priva di senso. La filosofia, dice Carnap, è più vicina alla musica che non alla scienza, con un ulteriore errore aggravante, che mentre la musica è gradevole la metafisica non ha neanche questa gradevolezza.
Solo che con alla cacciata dell'orribile mostro Schlick e il suo principe di verificazione rischiavano anche di cacciare la splendida fanciulla, che in questo caso sarà la scienza, perché il principio di verificazione si basava su una giustificazione etica forte, ma proprio per questo falliva essenzialmente in tre direzioni l'obiettivo di affermare la superiorità della conoscenza scientifica:
1. da un certo punto di vista non funzionava nella giustificazione delle teorie perché se una teoria è sensata nella misura in cui è verificata, poiché per giustificare una teoria ci vogliono sostanzialmente esperienze infinite chiaramente questo risulta assolutamente impossibile
2. non riesce neanche a demarcare bene cos'è scienza da cos'è pseudo scienza, anzi ci sono pseudo scienze che sono molto più potenzialmente verificabili delle scienze, la cui teoria può essere giustificata da qualsiasi osservazione che io compio (secondo Popper proprio questo non la rende scientifica perché piega le osservazioni a quello che viene espresso dalla teoria)
3. rischia di espellere dagli enunciati sensibili (ovvero quelle che possono essere verificati empiricamente) proprio le leggi scientifiche perché appunto le leggi scientifiche non sono nell'esperienza, infatti si può verificare il fatto che esprime la legge ma la legge in quanto tale no (posso verificare la caduta dei gravi ma non la legge) perché la legge proprio perché vuole essere universale è qualcosa che non appartiene all'orizzonte dei fatti, è qualcosa di cui noi non facciamo esperienza
Proprio per questo Carnap e Neurath cercheranno di superare questo principio in vari modi:
· affermando la sostanziale intrascendibilità dei linguaggi, ovvero dicendo che il confronto avviene sempre tra enunciati ed enunciati in un'altra enunciati e la realtà empirica, ovvero la sensatezza di un enunciato deriva dal fatto che quest'enunciato sia sensato all'interno dell'universo linguistico (le proposizioni possono essere confrontate solo con altre proposizioni), questo viene anche chiamato principio Neurath o coerentismo neurettiano
· se la proposizione si accorda con la totalità degli enunciati esistenti chiaramente è vera, mentre se non si accorda la proposizione è falsa oppure si tratta, se invece riteniamo che sia vera, di modificare il paradigma scientifico ampliandolo con questa nuova proposizione, quindi cambia l'universo totale del linguaggio perché il linguaggio è la realtà.
Il che non si distanzia molto da quello che aveva già detto Galileo né il saggiatore, ovvero che la realtà è caratterizzato da rapporti di tipo matematico e da forme geometriche), il linguaggio non è nient'altro che l'espressione di queste proprietà matematiche che si esprimono nella realtà e quindi in questo caso il linguaggio matematico è la vera realtà, nel caso dei neopositivismo è il linguaggio della scienza che esprime effettivamente la realtà, quindi non è simbolo di qualcosa ma è elemento primario. Il linguaggio è nello stesso tempo l'oggetto ma anche l'espressione che esprime l'oggetto, per questo ad un certo punto Neurath parla della cosiddetta verifica protocollare, secondo lui si può verificare una proposizione facendo riferimento ai protocolli che sono una versione più compiuta dal punto di vista linguistico delle cosiddette proposizioni elementari di Wittgenstein.
Ma allora il linguaggio è imperfetto o è impreciso? Neurath ritiene che il proseguimento di una originaria purezza conduca alla metafisica perché è impossibile realizzarla e per questo passa dalla teoria di un linguaggio universale al fatto che esista un linguaggio storico al quale bisogna adeguarsi.
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