È il massimo esponente della sinistra hegeliana.
Dopo la morte di Hegel, nel 1831 si vennero a formare due filoni:
· Destra hegeliana con atteggiamenti conservativi, che riponevano la massima fiducia nell’elemento teologico
· Sinistra hegeliana con posizioni progressiste
Feuerbach non si identifica come hegeliano, in quanto ad un certo punto la sua filosofia si distacca completamente da quella di Hegel; studia teologia all’università, come Hegel, ma l’eccessiva teologia lo spinge ad avvicinarsi alla filosofia.
Successivamente Feuerbach si reca a Berlino, dove prende parte alle lezioni di Hegel: il resoconto, che fa in una lettera scritta al padre, è esaltante, affermando che Hegel era un bravissimo insegnante. Questa fantastica adesione all’hegelismo, portò i critici a crederlo un seguace e un sostenitore di Hegel.
Nel 1835 Feuerbach scrive un libro per confutare Bachman, che aveva scritto “L’anti-Hegel”; questo atteggiamento fa si che, quando Feuerbach pubblica “La critica alla filosofia hegeliana” nel 1839, i suoi sostenitori, come Rosenkratz, si meraviglino. Quest’ultimo capì, quindi, che la stima di Feuerbach nei confronti di Hegel fosse per la sua statura di filosofo. Però Feuerbach nel 1940 continua a sostenere che nessuno più di Hegel gli avesse mai fatto capire cosa fosse un maestro.
Ciò che meraviglia di più è il fatto che Feuerbach, per criticare Hegel, utilizza le stesse basi di Bachman, ovvero l’incapacità di Hegel di scindere nettamente teologia e filosofia: infatti la “Filosofia dello spirito assoluto” era una teologia mascherata, perché stabiliva un principio esterno (non sensibile) per l’origine di ogni cosa presente nella realtà o nella storia; viene quindi esclusa la temporalità concreta, che è irrilevante, perché l’unica cosa importante è l’eternità di Dio e dello spirito.
Feuerbach invece ritiene che si debba prestare maggiore attenzione alla temporalità della vita; a questo proposito nel 1843 scrive “Principi per una filosofia dell’avvenire”, contro la filosofia hegeliana che non concepisce l’avvenire: esso può essere tale nella misura in cui si è aperti al cambiamento e alla trasformazione, mentre la storia hegeliana presenta adeguamento alla razionalità dello spirito.
Feuerbach però critica altri due aspetti:
Filosofia palogistica: ingloba tutto nella logica e nel sistema razionale, in cui ogni cosa si giustifica e in cui esistono differenze, ma che sono risolte nella razionalità dello spirito
Hegel non aveva concepito la distinzione tra corpo ed anima
Tutti quindi avevano mosso una critica in direzione della concretezza: l’hegelismo concepisce una realtà ultraterrena, come elemento giustificante di ciò che avviene nella vita; bidogna ricondurre quindi tutto ai fatti. Feuerbach ritiene che Hegel abbia eliminato la dimensione sensibile; questa concezione coincide con il sensismo feuerbachiano: il principio non consiste in un principio filosofico, ma prefilosofico e quindi concreto che bisogna recuperare. La realtà non è unitaria, ma caratterizzata dalla differenza: tutto deriva dai soggetti, che sono sempre soggetti puri; mentre per Marx la relazione soggetto-oggetto si svolgeva in un conflitto economico, per Feuerbach in amore.
Feuerbach afferma che si deve porre al centro di tutto l’uomo; cerca infatti di ridurre la teologia in antropologia: vuole dimostrare che l’argomento principale della teologia, ovvero Dio, non è nient’altro che qualcosa costruito dall’uomo e in cui l’uomo proietta se stesso, o meglio aliena se stesso. Per lui quindi la religione è la scissione dell’uomo da se stesso, la proiezione dell’uomo in qualcos’altro, ovvero Dio.
Lettura “La religione come scissione dell’uomo con se stesso”
L’uomo ha voluto contrapporre a sé qualcosa che rappresenti la possibile soluzione delle sue contraddizioni nella religione: costruisce come oggetto quella parte di lui che non conosce, il suo ignoto. Ciò riguarda la dimensione antropologica, ovvero la relazione dell’uomo con se stesso.
Che esistano elementi di congruenza tra umano e divino p rappresentato dalla scissione delle loro caratteristiche: quelle che vengono attribuite a Dio rappresentano una contraddizione a quelle umane. Ciò ci fa capire che tra i due esiste una congiunzione: Dio rappresenta l’oggettivazione dell’intelletto di alcune caratteristiche umane; l’uomo avverte dentro di sé la pulsione verso l’infinito, così crea un’imago e gli attribuisce tutte le caratteristiche che a lui mancano.
Per Feuerbach quindi Dio non esiste, ma è solo una proiezione dell’umano. L’uomo essendo finito non può raggiungere tutto quello che vuole, allora se ne priva e lo proietta in qualcos’altro. Questa sua tendenza ad antropomorfizzare Dio deriva dal fatto che egli è una proiezione dell’uomo, un’oggettivazione dell’intelletto e rappresenta la parte più perfetta dell’uomo, mentre la parte più imperfetta è il cuore che rappresenta le passioni. Dio = uomo privo di cuore.
Ogni cosa che mettiamo in Dio è qualcosa che togliamo a noi, o meglio ogni nostra mancanza è proiettata in Dio.
Scheda: “Quanto più metto in dio, tanto più tolgo a me stesso”
Ogni uomo proietta in Dio ciò che gli manca, quindi nella sua figura si recupera ciò che all’uomo manca. Tutte le religioni si fondano sul disprezzo dell’uomo, che si esalta solo quando egli si riconosce inferiore al Dio; il compito della religione è quindi quello di negare l’uomo, perciò vivere per Dio significa vivere contro l’uomo. Tuttavia è vero anche il contrario, ovvero vivere secondo i presupposti che fanno l’uomo la ragione dell’esistenza.
Il Cristianesimo afferma il Dio-uomo e si muove nella stessa direzione della filosofia: riconoscere il primato dell’uomo rispetto a tutto il resto; bisogna quindi eliminare il sostantivo di divinità al Dio-uomo, facendo diventare l’uomo-Dio (Nietzsche).
L’uomo quindi è ciò che di più alto è presente nella realtà.
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