Come vedremo l'empirismo di Hume, che si pone dopo Barkley, è un po' più classico, anche se secondo alcuni porta sempre alle stesse conseguenze dell'empirismo radicale di Locke. Il pensiero di Hume comare per la prima volta con la pubblicazione di un'opera che si intitola “Trattato sulla natura umana”, composto tra il 1734 e il 1737, quando Hume soggiorna in Francia, quando ha solo 23 anni.
Il trattato è un'opera che viene accolta con grande scetticismo e disinteresse all'interno del panorama scozzese, che in realtà poteva essere pronta ad accogliere questa opera. Come sappiamo la Scozia dal 1707 era stata unita al regno unito e proprio in questo periodo si stavano diffondendo le teorie che erano state prodotte precedentemente nelle università inglesi e sopratutto un pensiero in particolare, ovvero quello di Newton e come vedremo Hume non si occuperà della natura celeste o fisica, ma della natura umana, nonostante ciò rimarrà molto influenzato dal pensiero di Newton.
Da Newton Hume prende l'impianto metodico newtoniano, il quale poteva sposarsi perfettamente con la concezione empirista di Locke e Barkley, alla quale Hume non nasconde di ispirarsi. Solo che questo pensiero Newtoniano viene applicato da Hume non tanto all'analisi del mondo fisico, ma all'analisi della natura umana.
Il fatto che il filosofo debba occuparsi della natura umana viene ribadito da Hume anche successivamente; lettura pag 363 e cerchiamo di capire perché per Hume sia di primaria importanza indagare la natura umana, ovvero perché ogni aspetto della conoscenza hanno a che fare con la natura umana, perciò capire quali sono le strutture che regolano il nostro modo di guardare e conoscere la realtà è prioritario rispetto a ogni cosa.
Hume dice che noi siamo l'oggetto per eccellenza da indagare per capire come ragioniamo, perciò capiamo quali sono gli argomenti di questo trattato, la logica, la morale, la critica e la politica, ovvero quelle discipline che riguardano l'ambito umano sono propriamente umane e sono all'origine di ogni tipo di conoscenza. Ovvero si tratta di puntare alla ricerca e alla comprensione di quali sono gli elementi attraverso i quali noi possiamo pretendere di conquistare nuovi saperi, si può quindi parlare di unità del sapere, che si concretizza dal punto di vista metodologico nella consapevolezza che sia possibile e doveroso applicare quel metodo nuovo di sapere scientifico, che così tanti frutti aveva dato per quello che riguarda la scienza della natura e la scienza astronomica, anche alla natura umana, ovvero nel tentativo di trovare i principi che regolano la natura umana.
Ecco cosa vuole fare Hume, applicare il metodo newtoniano che aveva funzionato così bene nella fisica all'interno della ricerca dei principi di natura umana. Questo metodo si basava quindi su cinque punti:
1. Lo scienziato deve basarsi innanzitutto sulla percezione e sull'esperienza
2. Deve cercare di costruire un sistema che potesse permettere di rendere tutti i principi che governano la natura umana per quanto possibile universali, ovvero cercare delle leggi, come era la legge di gravitazione universale, che permettano di giustificare tutti i meccanismi casuali che riguardano anche la natura umana, ciò deve cercare di spiegare gli effetti con poche e semplici cause, possibilmente con una unica legge
3. Rifiutare la metafisica, intesa come i principi primi dell'anima, in quanto si sottraggono una conoscenza diretta
4. Non pretendere di estendere le scienze all'essenza e alle qualità occulte
5. Non fingere ipotesi, ovvero non costruire ipotesi esplicative che non siano suffragate dall'esperienza
E' chiaro che questa posizione fondamentale che Hume assegna all'esperienza di fondamentali importanza diventa uno strumento, ovvero l'introspezione, l'auto osservazione delle proprie percezioni e dei propri fenomeni cognitivi ed intellettivi, anzi ne è talmente convinto che l'osservazione della propria mente individuale ci permettono di cogliere la struttura universale di tutta la natura umana, perché si parte dal presupposto che la natura è omogenea.
Ora poiché dice Hume noi guardiamo la realtà attraverso delle percezioni la prima cosa che bisogna fare è fornire una adeguata classificazione di quelle che sono le nostre percezioni e osservando il modo con il quale noi ci rappresentiamo la realtà ci accorgiamo che queste percezioni possono essere divise in due tipi:
· Le impressioni, che sono quelle percezioni che presentano maggiore forza e vivacità, per esempio l'impressione del banco quando lo vedo, ovvero quelle percezioni che hanno a che fare con una esperienza diretta e immediata
· Poi ci sono le idee, che sono percezioni che si originano dall'esperienza diretta della realtà; in particolare dice Hume che le idee rappresentano nient'altro che immagini inlanguidite delle impressioni, ovvero quando penso al banco, è indiscutibile che io lo possa fare, ma quando lo faccio mi accorgo che tra queste immagini che io mi faccio e le impressioni c'è una differenza radicale, ovvero che le prime sono molto più vivaci e le altre un po meno
Le percezioni, impressioni e idee, possono essere sia semplici che composte (qui riprende chiaramente la teoria di Locke), quelle semplici sono quelle che non permettono alcuna distinzione (come il sapore, il colore, la consistenza), composte sono quelle che permettono una distinzione tra le percezioni (per esempio la percezione del foglio, la quale è composta da un insieme di percezioni).
Per Hume però anche le impressioni possono essere composte, ovvero è indiscutibile che io ho un insieme di impressioni che poi fanno in modo di percepire il banco, però è anche vero che ho una percezione immediata del banco in quanto tale.
Questa concezione è ancora più evidente per quello che riguarda le idee, infatti se le idee sono immagini illanguidite delle impressioni è chiaro che le idee cronologicamente seguono le impressioni, ora se le idee non sono nient'altro che questo è logico che non possono esistere idee innate.
Anche Hume, per quello che riguarda le impressioni divide, così come aveva fatto Locke, tra impressioni di sensazione, che riguardano i nostri organi di senso e ci permettono di cogliere la realtà esterna, e impressioni di riflessione, che riguardano la nostra interiorità e che derivano dal fatto che un'idea di sensazione torni a operare sulla nostra anima o coscienza, suscitando una reazione che può essere un'emozione oppure una attività dell'intelletto. Questo è molto importante perché dalla distinzione tra impressioni e sensazioni e impressioni di sensazione deriva anche una duplicità degli interessi, che compare sia nel Trattato sulla natura umana e sia nelle “Ricerche sui principi dell'intelletto” e “Ricerche sui principi della morale”, da una parte ci sarà quindi un'analisi dell'intelletto (ovvero dei diversi tipi di idee e delle loro relazioni) e dall'altra un'indagine delle emozioni e delle passioni.
Abbiamo detto che quando un'impressione si affaccia alla mente vi ritorna poi in forma di idea, ma anche le idee in realtà si possono presentare in modo differente: ci sono idee che conservano un più alto grado di vivacità, ovvero quelle idee che Hume definisce “della memoria”; ora queste idee sono molto più vivaci però hanno un limite, cioè il fatto che riproducono in modo sbiadito la stessa impressione che si è avuta in precedenza, quindi la memoria non ha la facoltà di effettuare cambiamenti nelle idee (di modificarle o assemblarle), in un certo senso la memoria è necessitata, nel senso che è ancorata all'impressione precedente. Poi ci sono altri tipi di idee che lui “idee di immaginazione” che sono meno vivaci ma a differenza della memoria l'immaginazione ha trasporre e di associare le idee tra di loro.
Quindi come vediamo per Hume ciò che presiede alla possibilità della nascita di idee complesse dipende essenzialmente dall'immaginazione, che procede alla associazione delle idee secondo dei parametri che riguardano la struttura dell'uomo e della struttura umana. Quindi le idee si formano in noi per associazioni di impressioni.
Andiamo quindi a vedere quali sono questi vincoli, lettura pag 374.
Per Hume esistono solo tre principi di connessione, che ci permettono di connettere tra di loro le idee e di poter individuare quelle idee che si presentano sempre in modo comune e identico; questi tre principi sono: il principio di somiglianza, il principio di vicinanza (o spazio-temporale) e infine il principio di reazione e causa esterna (ovvero il principio secondo il quale ciò che viene prima presumibilmente rappresenta le causa di quello che viene dopo).
Ora le idee che vengono associate tra di loro in base a questi principi (e quindi in base alla facoltà immaginativa che presiede questi principi) per Hume fanno riferimento a un principio regolatore, che attrae le idee e le dispone per attrazione ed ecco perché possa sembrare simile a quella legge di gravitazione universale che Newton aveva trovato. Questo principio tra l'altro è costitutivo dell'uomo in quanto tale,
Da questi tre principi attraverso i quali associamo le idee tra di loro derivano due tipi di idee differenti, quelle assolutamente certe (che corrispondono essenzialmente alle idee di natura logico-matematica) e le idee dei fatti.
Letture pag 367
La conoscenza ideale riguarda per Hume le verità matematiche, mentre le verità di fatto riguardano le esperienze; queste due hanno caratteristiche differenti, infatti le idee sono verità necessarie perché in realtà sono analitiche (come dirà Kant), ovvero non dicono nulla di più di ciò che già è contenuto nel soggetto (ad esempio è impossibile che esistano due parallele convergenti).
Questo è molto importante perché le verità di fatto, essendo sempre figlie dell'esperienza, sono caratterizzate dal fatto che è sempre possibile il contrario. Questa questione, cioè quella che non siamo mai certi della verità di un evento fattuale, determina un effetto che rischia di minare dalle fondamenta la possibilità che si possa raggiungere una conoscenza oggettiva, ovvero scientifica; ed è proprio questo che secondo alcuni determina l'esito scettico della questione sulla filosofia da Hume. Questo perché se tutto ciò che deriva dall'esperienza non è necessario anche quella legge che governa il rapporto tra i fatti dell'esperienza (che è la legge della causa-effetto) può essere messa in discussione, anzi la relazione causa-effetto, che non è un principio matematico, in realtà è qualcosa su cui noi non possiamo affermare nulla perché non possiamo neanche conoscerla.
Lettura pag 375
Hume quindi, anche attraverso il ricorso a un esempio, cerca di dimostrare come la causalità, ovvero la relazione causa-effetto, non è un nesso necessario tra i fatti e quindi è sempre possibile il contrario.
Hume fa l'esempio di due palle da biliardo, una rossa e l'altra bianca, delle quali quella bianca è ferma mentre l'altra si sta dirigendo verso la prima, una volta che le due palle si saranno toccate la palla bianca si metterà in movimento; perciò noi siamo portati a pensare che esista una relazione tra l'urto della palla rossa sulla bianca e il movimento che segue della palla bianca. Come vediamo la causa precede l'effetto e quindi esiste una continuità temporale e spaziale, inoltre esiste un rapporto di posticità dell'effetto riguardo la causa.
Continuando a lanciare la palla rossa sulla bianca vediamo che sempre dopo l'urto la palla bianca si mette in movimento, ecco che quindi compare un terzo elemento, ovvero la congiunzione costante tra l'evento causa e l'evento effetto. Tuttavia per quanto si possa analizzare la cosa non si trova niente di più di questo, ovvero la continuità nello spazio e nel tempo dei due eventi, la priorità dell'evento causa sull'evento effetto, costanza nella congiunzione tra la causa e l'effetto. Basandoci su questo pensiamo che tutto sia necessario e che quindi lo sia anche il rapporto di causa ed effetto, perciò tutta la filosofia, esclusa le geometria e le logica, si basa essenzialmente su questo, in quanto si basano sull'osservazione dei fatti e sull'esperienza, le uniche discipline che non sono basate sull'esperienza (ma proprio per questo sono tautologiche) sono la geometria e la logica.
Tuttavia se ci fosse un rapporto necessario data una situazione originaria, come per esempio Adamo che incontra il suo primo biliardo e vede queste due palle se il rapporto è necessario Adamo dovrebbe già aspettarsi che la pallina bianca si muova dopo l'urto, chiaramente no perché non ne ha ancora fatta esperienza e non sa che cosa possa capitare. Quindi questo prova che non esiste nessun principio di causa-effetto che preceda l'esperienza, perciò tutto ciò che possiamo concepire (come il fatto che la pallina rossa salti la bianca) è possibile, però non possiamo concepire un un triangolo con quattro lati. Perciò la dove ci sono delle dimostrazioni logico-matematiche il contrario è impossibile, mentre laddove c'è una relazione causa effetto (che poi è una forma di anticipazione dei fatti che avverranno) il contrario è sempre possibile è quindi non vi è una relazione necessaria.
Questa capacità di generalizzare dall'esperienza deriva dalla convinzione di quella che è l'uniformità della natura, ovvero ciò che ci fa pensare che le cose si ripeteranno nello stesso modo sono quindi l'uniformità della natura, mentre l'altra causa è essenzialmente un'esperienza psicologica che deriva dall'abitudine ad associare tra di loro determinati fenomeni naturali. Infatti è impossibile dimostrare che tutti gli eventi seguano le leggi di natura e che la natura sia quindi uniforme perché servirebbe una conoscenza infinita e inoltre ciò che è possibile non si può mai dimostrare come falso.
Quindi ciò che ci fa credere che quando la pallina rossa toccherà quella bianca quest'ultima si muoverà è quello che Hume definisce “custom” ovvero abitudine e credenza, ma poiché l'abitudine non è fondata su alcuna legge necessaria e nessuna necessità è chiaro che in base a questo sentimento che noi ci aspettiamo che il mondo naturale funzioni in questo modo; ecco che quindi l'abitudine è quella che Hume definisce una dolce forza che condiziona il nostro intelletto e condiziona il nostro modo di guardare la realtà.
Capiamo quindi perché i contemporanei di Hume avessero preso le sue teorie con circoscrizione infatti sembrano avere un esito pressoché scettico, proprio per questo Hume riprenderà la questione su “Abitudini e credenza” cercando di dimostrare di non essere uno scettico. Lettura “Abitudini e credenza”
La credenza non è nient'altro che quell'atto psicologico che noi avvertiamo nel nostro intelletto e che ci obbliga a credere nell'uniformità della natura e quindi a credere che se lancio una pallina rossa su una bianca questa si muoverà, ma attenzione non è un atto cogitativo dimostrativo ma un atto sensitivo e psicologico, una sorta di nesso che noi determiniamo tra gli eventi che deriva dalla maggiore forza e vivacità con cui questa connessione si presenta alla nostro mente, in pratica si presenta con maggiore forza e vivacità la credenza che la palla bianca si muoverà piuttosto che non la palla bianca resti ferma. Quindi siamo portati a formulare dei giudizi la realtà e anche a stabilire dei giudizi che abbiano un valore preventivo sulla realtà e quindi siamo portati, grazie alla credenza, a credere nell'uniformità della natura e ciò ci basta, dice Hume, per vivere nella dimensione quotidiana ma sopratutto dice anche che ci basta per la nostra conoscenza scientifica, ciò va bene perché, dice Hume, sarebbe folle non muoversi in direzione di queste aspettative che l'abitudine e la credenza determinano in noi, ovvero va bene applicare quegli esiti apparentemente scettici che la concezione prima espressa determinerebbero. L'esito si può dire scettico ma per Hume comportarsi realmente da scettici sarebbe un comportamento ancora più da folle.
Ma in realtà Hume non porta un colpo radicale al concetto necessario di causa ed effetto porta un colpo fondamentale anche ad un altro concetto, ovvero quello dell'unità dell'io, una unità che ha sempre avuto a che fare con il concetto di spikè (anima) o comunque quello di centro unitario che rappresenta la forma e il senso dell'individuo in quanto tale e ne garantisce la continuità, infatti sebbene non si trovi alcun elemento di contatto tra me quando avevo un anno e me adesso si crede che l'io che ero ad un anno sia lo stesso di adesso. Come vedremo Hume demolisce questa concezione basandosi essenzialmente sull'osservazione della realtà e sull'esperienza dicendo che in realtà l'io non è nient'altro che un “fascio di percezioni”, ovvero un insieme di percezioni ed esperienze prolungate nel corso del tempo.
Lettura “L'io è un fascio di percezioni”
Se noi siamo un fascio di percezioni e se la percezione sono una perturbazione dell'anima cioè un segno lasciato sull'anima vuol dire che noi siamo caratterizzati da una costante modifica siamo qualcosa mai uguale a noi stessi, siamo quindi qualcosa che coincide con le esperienze che abbiamo fatto in precedenza. Quindi se questo e vero significa che non esiste nulla di semplice, ovvero qualcosa che continua a perdurare nel tempo, però non c'è neanche nulla di unitario ne di identitario, perché noi non facciamo altro che coincidere con quell'insieme di percezioni di cui abbiamo fatto esperienza. Tutta questa molteplicità fa esplodere l'io in quanto tale perché l'io assomiglia ad un immenso caleidoscopio che cambia a seconda delle esperienze che a fatto e di quelle che farà. Però anche in questo caso ciò che ci fa ritenere di essere sempre la stessa persona ed essere lo stesso io è sempre l'abitudine, lo stesso Kant cercherà di porre un rimedio a queste due martellate che Hume aveva assestato alla concezione classica del sapere.
Come vediamo il panorama di Hume è molto differente da quello di Cartesio, perché per Cartesio il cogito è l'assolutamente permanente, ma è anche vero perché il cogito è un insieme di idee innate, se invece noi non siamo nient'altro che le nostre esperienze, come diceva Hume e prima ancora Locke, quindi non esiste alcuna idea innata, ecco che anche la garanzia di questo soggetto assoluto viene meno, ecco perché Kant cercherà di recuperare questi concetti.
Hume inoltre si occupa dei principi morali, ovvero quei principi che guidano i nostri comportamenti, il suo compito è infatti esplorare l'intera natura umana, naturalmente anche per quello che riguarda l'ambito morale non potrà che partire dagli stessi presupposti, ovvero per scoprire se esistono dei principi o delle leggi che governano il nostro modo di comportarsi bisognerà partire dalle esperienze e quindi osservare i comportamenti dell'uomo per scoprire se anche per quello che riguarda la morale, come aveva fatto per l'intelletto, sia possibile trovare delle leggi che condizionino il nostro modo di comportarci.
Questa sua concezione è molto importante perché porta Hume a negare qualsiasi morale prescrittiva, ovvero a negare una morale che prescriva determinati comportamenti; infatti per Hume la morale non può che essere descrittiva, ovvero descriva i comportamenti dell'uomo infatti per Hume non esiste nessun parallelismo possibile tra essere e dover essere, ricavare da quello che si osserva dei comandamenti che ci condizionino nel nostro modo di operare è quello che Hume chiama una fallacia naturalistica, ovvero il fatto di ricavare dalla natura qualcosa che viene assunto in un valore universale alla dimensione del dover essere ovvero trasformare ciò che è e che accade in ciò che dovrebbe essere e quindi attenersi ad esso. Questo è molto importante perché colloca Hume in una situazione pericolosa.
Ora se si tratta di osservare bisognerà partire da quelli che sono i momenti che condizionano le nostre azioni cioè le passioni, anche qui cercando di dimostrare che anche per le passioni ci sia una sorta di meccanismo pregresso. Le passioni sono come le sensazioni solo che riguardano le questioni interne e divide quindi tra passioni violente (ovvero che si impongono con forza, come amore, odio, gioia o dolore) e poi ci sono le passioni tranquille (una sorta di sentimento che ci condiziona in modo più pacato e quando non ci sono le altre). Poi stabilisce un'altra divisione, ovvero le passioni dirette (che sorgono immediatamente dall'oggetto come piacere e dispiacere) e poi esistono le passioni indirette (che nascono per cause più complesse come l'orgoglio e che nascono da una relazione ulteriore con l'oggetto).
Le passioni possono anche essere semplici e complesse, semplici sono per esempio il semplice piacere mentre le complesse sono per esempio il timore di essere traditi e sono passioni che non dipendono semplicemente dall'oggetto ma da un certo modo di relazionarsi con l'oggetto.
Come abbiamo detti anche in questo caso si tratta di vedere se esistono delle costanti e se c'è qualcosa che in qualche modo condiziona i miei comportamenti e mi fa prediligere un certo comportamento e quindi il soddisfacimento di una certa passione piuttosto che non il fatto che tutto sia lecito. In realtà partendo da questi presupposti e partendo dal fatto che la morale è sempre selettiva e non è mai corrispettiva e quindi non prescrive nulla ogni comportamento sembrerebbe lecito.
Perché allora alcuni tipi di comportamento senza nessun riferimento a un valore viene avvertito come un atteggiamento negativo?
Hume dice che la morale non è un fatto di ragione quindi è più un senso che un giudizio, è qualcosa che non riguarda tanto le azioni concrete ma il movente, infatti se un uomo fa cadere per sbaglio un oggetto in testa a una persona tuttalpiù lo si può accusa re di essere sbadato ma se quell'uomo lancia volontariamente quell'oggetto in testa a uno tutti considereremmo spregevole questo atti; ciò dimostra che noi giudichiamo il movente e non l'atto, e per Hume questo movente è sempre una passione.
Comunque non si è ancora capito cosa spinge tutti, pur non essendoci una morale di riferimento, a giudicare alcuni fatti riprovevoli e Hume dice che è la simpatia, ovvero il fatto di patire insieme all'altro ed è questa la legge che uniforma i nostri comportamenti morali. Tra l'altro questo non è neanche dettato da pulsioni altruistiche ma per motivazioni egoistiche e sentiamo di non voler essere nei panni dell'altro; ancora una volta viene stabilito il primato del sentire sul capire.
Certo che ancora una volta tutto si riconduce non a qualcosa di necessario ma a qualcosa di soggettivo e anche dal punto di vista morale Hume infligge un duro colpo a chi riteneva che esistessero dei valori assoluti (e che quindi esistesse una morale prescrittiva) e a chi riteneva che esistesse una legge morale, esiste solo questo sentimento morale determinato dalla simpatia.
Come vedremo Kant riprenderà il discorso confermando il primo e negando il secondo.
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